Viaggio nella festa dei Gigli di Barra: tra storia, passioni e maestosi obelischi

di VINCENZO GUARCELLO

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Quadro del maestro Serafino Ambrosio donato alla Fondazione Festa dei Gigli

I coriandoli dai colori dell’arcobaleno sono sparsi, a centinaia, sulla strada. Migliaia di persone si avviano lentamente verso casa, dopo aver cantato e danzato per ore e in strada resta solo qualche gruppo di anziani, dall’aria nostalgica. Stanno fermi accanto a una decina di obelischi, che prima sfioravano i tetti spioventi muovendosi a suon di musica, e ora hanno arrestato la loro marcia: la festa è finita. Anzi no: è proprio adesso che la festa dei Gigli comincia.


LA STORIA DEI GIGLI – UNA FESTA “DI FAMIGLIA” – DAL DISEGNO ALLA BOTTEGA DEL FALEGNAMELA BALLATA DEI GIGLIMUSICA, SFOTTÒ E AMICIZIA –


Se Siena e Asti hanno il loro Palio, anche in Campania infatti c’è una manifestazione folkloristica che resiste allo scorrere del tempo e unisce giovani e vecchi: siamo a Barra, nella zona orientale di Napoli, un quartiere di circa 38mila abitanti che occupa circa ottomila chilometri quadrati alle pendici occidentali del Vesuvio. Qui ogni anno, l’ultima domenica di settembre, si svolge una delle feste più antiche della tradizione campana.

Il quartiere si veste a festa, striscioni e bandiere delle diverse contrade, che qui si chiamano semplicemente rioni, tappezzano i vicoli della città, giovani e meno giovani si riuniscono per gli ultimi ritocchi necessari, dopo un anno di lavoro, a dare vita l’evento clou: la parata degli Gigli. Perché qui a gareggiare non sono cavalli e fantini, bensì dei giganteschi obelischi di forma piramidale che sfilano per la città, ciascuno con un simbolo che ne indica l’appartenenza: Insuperabile, Mondiale, Formidabile, Papera, Bravi ’93, solo per citare alcune delle associazioni del quartiere che partecipano all’evento. Queste maestose strutture lignee sono sollevate in spalla da centinaia di uomini, che li innalzano al cielo e li fanno ballare al ritmo di musica.

La storia dei Gigli 

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Un Giglio in piazza de Franchis

Tutto iniziò nel 1822. Nata da una costola della Festa dei Gigli di Nola – riconosciuta patrimonio culturale dell’Unesco nel 2013 con altre feste folkloristiche come la Macchina di Santa Rosa di Viterbo, la Varia di Palmi, in provincia di Reggio Calabria e la Faradda di li candareri di Sassari – la festa di Barra ha alcuni caratteri originali che la distinguono dalle altre feste popolari.

Lo storico e scrittore Romano Marino ha dedicato cinquant’anni della propria vita nella ricerca di testimonianze che documentassero la nascita della manifestazione. Marino, 76 anni, ha lavorato per più di 30 al giornale Il Mattino, a Napoli ed è l’autore del libro Tradizionale Festa dei Gigli: Barra 1800-2000. Nel testo, riguardo alle prime tracce documentate della festa, Marino cita una delibera del Comune di Barra – che a quel tempo era separato dalla città di Napoli – datata 1 luglio 1822, in cui si legge:

…non si autorizza la processione di un castelletto di legno detto Giglio, in occasione della festività della Patrona di questo Comune lungo la strada principale poiché si è nell’attesa, dopo comunicazione scritta inviata alla Regia Intendenza d’autorizzazione per ordine pubblico.

“In quel caso la presenza del Giglio fu simbolica – dice Marino – dato che restò fermo nell’attuale piazza Parrocchia, a Barra. La vera nascita della festa va fatta risalire all’anno successivo, il 1823, quando l’obelisco cominciò a essere trascinato sulla strada – e non alzato in spalla, come avverrà in seguito – dai “facchini sangiovannari”, chiamati così perché lavoravano come scaricatori nel porto di San Giovanni a Teduccio. Molti di questi erano originari di Barra e, data la loro forza fisica, erano stati ingaggiati da Nola come alzatori per la loro tradizionale Festa dei Gigli. Così, nel 1823 decisero di portare questa tradizione anche nel loro comune di appartenenza, associandolo al Santo patrono di Barra, Sant’Anna”.

Dalla religione al folklore. Dal 1823 ai giorni nostri la festa si è evoluta:  se all’inizio la religione era una componente essenziale, con il passare degli anni il legame con il culto si è affievolito: “La religione conta poco, anzi direi pochissimo – afferma Marino – anche se è vero che in principio gli organizzatori associarono la festa al culto di Sant’Anna, che ricadeva nel mese di luglio. Ma dopo il veto del 1822 e a causa di un’epidemia di colera scoppiata dal 1836 al 1838, la festa fu prima soppressa e poi spostata a settembre, in concomitanza con un’altra festa patronale, il Carro di Sant’Antonio. In tale occasione, si usava andare per poderi in processione dietro il carro con la statua del Santo, raccogliendo offerte e cibarie”.

Lo spostamento a settembre era dovuto anche a motivi logistici: “Fare la rassegna dopo l’estate era molto più agevole per i costruttori nolani – spiega Marino – che avevano più tempo da dedicare alla realizzazione dei Gigli barresi dopo la festa di Nola, che cade il 22 giugno, nel giorno di San Paolino. Da quel momento, la manifestazione assunse sempre più un carattere folkloristico e popolare”. Nel 1840, la Festa dei Gigli passa definitivamente all’ultima settimana di settembre, una collocazione che ha mantenuto sino ai nostri giorni. È l’inizio della “ballata” dei Gigli.

La danza degli obelischi. Il fulcro della manifestazione è la parata dei Gigli: i maestosi obelischi di legno sfilano per le vie del quartiere in festa. I Gigli, in passato trascinati di peso sulla strada, hanno un peso complessivo di oltre 25 quintali, con base di forma cubica di circa tre metri per lato.
L’elemento portante è la “borda”, un asse centrale su cui si articola l’intera struttura, divisa in sette sezioni dal basso verso l’alto (clicca per ingrandire l’immagine a lato).

Le “barre” e le “barrette” – in napoletano “varre” e “varrielli” – sono le assi di legno attraverso cui il Giglio viene sollevato e manovrato a spalla dagli addetti al trasporto. Questi assumono il nome di alzatori, o meglio cullatori – in dialetto “cullature” – nome che deriva probabilmente dal movimento oscillante prodotto simile all’atto del cullare. L’insieme dei cullatori, di norma 128, prende il nome di “paranza”.
“Borda”, “varre” e “cullatori” sono solo alcuni dei termini usati nella Festa dei Gigli, una festa che può contare su un vero e proprio glossario, con vocaboli che spiegano nel dettaglio la funzione degli elementi dell’obelisco, il ruolo di ogni personaggio e anche i comandi dati durante la ballata.

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Una festa “di famiglia” 

Professione alzatore. Per 12 anni Salvatore Assediato, 40 anni, installatore di caldaie, è stato uno dei “cullatori” della paranza ‘Insuperabile’: “È un’emozione immensa alzare il Giglio, nonostante fatica e sudore. Solo quando sei lì sotto – afferma – partecipi davvero alla festa. I saltelli, le manovre, le girate nei vicoli stretti… Da fuori sarà anche bello da vedere, ma fidatevi: là sotto è tutta un’altra cosa”. Lo sforzo fisico, insomma, non è un ostacolo: “Ti stanchi, è ovvio, soprattutto quando ti fermi e poi riparti perché ti si raffredda la spalla e dopo senti maggiormente il dolore. Ma non ci pensi troppo, quando sei lì vuoi solo goderti la festa”.

“I momenti più belli io li ho vissuti con la paranza Insuperabile. Ho partecipato a tantissime feste, le ho fatte tutte e non solo a Barra, ma anche a Brusciano, Casavatore e ovviamente a Nola. Il ricordo più bello? Non ce n’è uno soltanto: quando vedi la gente che ti incita a gran voce e, nonostante la fatica, riesci a completare una manovra complicata ti senti pieno d’orgoglio”, racconta Salvatore, ricordando la sua esperienza come alzatore.

Negli anni, secondo Salvatore, la festa però è cambiata: “Da qualche anno a questa parte c’è un’eccessiva competizione tra le paranze, non vedo più il rispetto di un tempo. Inoltre le regole sono diventate troppo rigide: fino a pochi anni fa non c’erano problemi di orari e la ballata proseguiva fino al mattino seguente. Oggi, invece, il comitato organizzativo ha imposto come orario di chiusura le due di notte. L’intoppo durante il percorso però può capitare e se si vuole fare la rassegna con 11 gigli poi bisogna dare la possibilità a tutti di completarlo”.

L’importanza della sincronia. Se il cullatore è il braccio del Giglio, la mente è senza dubbio il caporale. Un compito arduo ed emozionante al tempo stesso, come spiega Michele Carbone, primo responsabile dell’associazione ‘Bravi 93’, infermiere di professione e cugino di Salvatore. Cresciuto ‘a pane e Gigli’, Michele con i suoi 37 anni è uno dei capi più giovani dell’intera rassegna, un ruolo che in passato è stato anche di suo padre, Pasquale Carbone.

Pasquale, scomparso nell’ottobre 2014 a soli 62 anni, è stato un punto di riferimento per tante generazioni di giglianti e il Giglio 2015 dell’associazione Bravi ’93 è stato dedicato alla sua memoria: “Difficile non commuovermi quando parlo di lui – ammette Michele – non sarei qui senza i suoi insegnamenti. L’associazione nacque grazie a una sua iniziativa e prima ancora di mio nonno e di altri amici che oggi non ci sono più. Per un lungo periodo, dal 2002 al 2014, noi Bravi ’93 non abbiamo partecipato alla festa dei Gigli perché la competizione era diventata troppo aspra e la rivalità andava oltre il semplice sfottò tra paranze. Poi la prematura morte di mio padre ci ha spinto a tornare, a metterci in gioco e abbiamo deciso di dedicare l’edizione del 2015 alla sua memoria“.

A Michele, come a ogni caporale, rispondono circa 300 persone tra alzatori attivi e passivi, cioè quelli che stanno accanto al Giglio pronti a dare il cambio ai “colleghi” quando la stanchezza si fa eccessiva, ed è lui che, conoscendo ogni vicolo, direziona i movimenti dei “cullatori” la domenica mattina.

“Il mio compito è quello di dare gli ordini – prosegue Michele – tutti devono obbedire simultaneamente e ogni movimento ha un comando: i saltelli, le girate richiedono grande attenzione, per non parlare della posata, quando cioè il Giglio viene appoggiato al suolo. Più il movimento è secco, più è preciso, più gli spettatori apprezzano. Secondo mio cugino sono un dittatore…un po’ ha ragione – conclude Michele ridendo – in certi momenti devi esserlo, altrimenti il Giglio si inclina e c’è il rischio di incidenti”.

Dal disegno alla bottega del falegname

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Il progetto del Giglio su “Il Re Leone”

Progettare il giglio. Un altro aspetto affascinante della festa dei Gigli è la realizzazione di queste strutture così grandi e complesse. Ogni anno ciascun obelisco cambia, viene smontato e ricostruito da capo, il tutto con la massima cura. Un compito che spetta principalmente a due persone: il progettista, che crea il rivestimento, e il falegname, che procede alla realizzazione.
Lo scheletro del Giglio è sempre in legno, cambia invece l’aspetto esteriore, realizzato con decorazioni in cartapesta, gesso, stucchi o polistirolo. Nella scelta del tema le associazioni spaziano dall’omaggio a una tradizione o un film del passato  come Il Re Leone o Moulin Rouge – a un paesaggio particolare, con omaggi a città esotiche come Bangkok , fino alla scelta di una ricorrenza da celebrare, come nel caso del 2015 con la dedica a Pasquale Carbone realizzato dalla sua ex associazione Bravi ’93.

Spesso per sostenere i costi di realizzazione ci si affida a uno sponsor: decine di brand hanno messo spesso il proprio marchio sugli obelischi, dalle compagnie assicurative come la Allianz ai produttori di televisori come Telefunken, mentre in altre occasioni sono stati i negozi del quartiere a finanziare la realizzazione dei Gigli. Conciliare il gusto estetico dell’obelisco e l’esigenza dello sponsor non è cosa semplice ed è qui che entra in gioco il progettista, che mette a frutto tutta la propria inventiva.

Luciano Carbone foto tagliata

Luciano Carbone, il designer

Fantasia e metodo. Progettare l’obelisco è il compito, ad esempio, di Luciano Carbone, designer, grafico e presidente dell’associazione Bravi ’93. Luciano, 36 anni, fratello del caporale Michele, lavora in una multinazionale che si occupa dell’assemblaggio di sedili per auto, ma è anche appassionato di arti grafiche, che ha studiato all’Accademia di Belle arti di Napoli, dove ha seguito il corso di Scenografia. Oggi l’attività di grafico, che ha comunque mantenuto come hobby, è al servizio della paranza: “Inizialmente realizzavo i progetti su carta, ora è tutto diverso. La tecnologia mi aiuta tantissimo – spiega – e programmi come Photoshop e Premiere sono diventati indispensabili”.
“Per la progettazione ci vuole fantasia e una buona conoscenza dei materiali – prosegue Luciano – ma soprattutto ci vuole metodo: ogni singola parte del Giglio ha delle misure specifiche e non si può sbagliare. Ne va del buon esito del progetto”.

Luciano ha sempre vissuto con la sua famiglia a San Giorgio a Cremano, un comune adiacente a Napoli, ma ha vissuto ogni anno la Festa dei Gigli grazie a suo padre Pasquale, originario di Barra e da sempre appassionato della manifestazione. “Sin da piccoli mio padre portava sia me sia mio fratello ad assistere alla parata – racconta Luciano – ci teneva che noi fossimo lì. Ricordo che guardavo questi obelischi maestosi con ammirazione e pensavo ‘quanto sarebbe bello stare lì sopra’”.

Da allora sono trascorsi molti anni, nei quali Luciano ha visto suo padre Pasquale partecipare da protagonista alla festa, sul Giglio insieme con i suoi amici, e se, prima viveva la manifestazione come semplice spettatore, ora è parte integrante della festa e la vive con passione e dedizione: “Sono anni che mi diverto a disegnare i modelli e ne ho realizzati diversi: in particolare, nel 2015, quando siamo tornati in pista, ho progettato un Giglio tutto mio in memoria di mio padre e, devo dire, ne sono veramente fiero. Ora stiamo lavorando a quello del 2016. Abbiamo anche l’accordo con lo sponsor, il Planet Win Cafè, un negozio di scommesse sportive. E chiaramente lo sport, specialmente il calcio, sarà parte integrante della struttura: sarà un Giglio sportivo, mettiamola così…”

Il giglio prende vita. Dal foglio di carta all’obelisco di quasi 30 metri, il passo non è breve. Servono materiali, manodopera e tempo. Chi per anni il legno lo ha toccato, lavorato e ne ha respirato gli odori è Giovanni Carraturo, 31 anni, di professione falegname: “Ho lavorato per undici anni nella bottega Tudisco, una delle più rinomate di Nola. Purtroppo la vita riserva spesso delusioniio e il mio team, cinque ragazzi me compreso, ci siamo dovuti separare per questioni lavorative, dato che lì in bottega non ci garantivano un anno intero di lavoro, ma soltanto sei mesi. Io sono stato l’ultimo ad andare via, ma prima di salutarci avevamo fatto una promessa: che quando uno di noi avrebbe realizzato un Giglio tutto suo, ci saremmo riuniti”.

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Da sinistra Giovanni Carraturo ed Enzo Ugliano

E così è stato nel 2013, quando Giovanni ha deciso di mettersi in proprio e creare la “Bottega d’arte Carraturo” grazie all’aiuto di suo zio Enzo Ugliano: “Enzo conosceva il mio desiderio di lavorare alla creazione di un Giglio, così un giorno, a sorpresa, mi ha portato a comprare il legno necessario. Non volevo credergli, pensavo scherzasse e invece era tutto vero”.
“All’inizio non avevo preso sul serio la sua idea – racconta Enzo, il socio – mi sembrava una follia. Poi la sua tenacia mi ha convinto e ho deciso di buttarmi”. Enzo, 49 anni, originario di Barra, è un grande appassionato dell’arte presepiale e in generale dell’arte tradizionale napoletana. Così nel 2013 decide di dare fiducia a Giovanni e aiutarlo ad avviare la nuova falegnameria. “Siamo ancora in fase di rodaggio. Non abbiamo ancora una struttura fisica – spiega Enzo – ma stiamo lavorando per la location della bottega e per maggio 2016 saremo operativi. Quest’anno costruiremo un solo Giglio o forse due, vediamo, ma puntiamo a diventare un riferimento per le paranze”.

La scelta del legno. Con una nuova attività avviata da poco e senza la garanzia di un nome forte, tutto è più difficile. Prima Giovanni aveva un’azienda alle spalle, ora invece deve convincere gli acquirenti, in primo luogo i membri della paranza, a fidarsi solo delle sue mani. Una sfida alla quale non si sottrae: “Già dalla materia prima abbiamo fatto una scelta coraggiosa – racconta – privilegiando la qualità invece della quantità: acquistiamo legno pregiato e lo lasciamo essiccare per quattro mesi, in modo che perda la linfa, si alleggerisca e diventi più flessibile e performante”.

“Per l’obelisco – prosegue Giovanni – utilizziamo in genere tre tipi di legname: pioppo per la base, castagno per le barre laterali e abete per gli assi verticali. Lavoriamo il tronco grezzo e creiamo i singoli assi, compresa la spina dorsale del Giglio, la ‘borda’ in legno di abete, con un diametro di 19 centimetri e un’altezza media di 25 metri. Questa operazione richiede al massimo due settimane di lavoro, anche qualcosa in meno. Poi ci dedichiamo al rivestimento esterno e costruiamo gli elementi decorativi in cartapesta o polistirolo, lavoro che può durare anche un mesetto, a seconda della difficoltà dei componenti. Quindi, rifiniamo tutto a mano in bottega e, a lavoro ultimato, lo trasportiamo a Barra, dove a inizio settembre si procede al montaggio”.

L’assemblaggio in piazza De Franchis. Fino a cinque anni fa ogni obelisco veniva costruito nella postazione assegnata alla paranza, creando però non pochi problemi di passaggio e viabilità vista la strettezza dei vicoli.

In seguito, il Comune ha spostato tutti i cantieri in piazza de Franchis, una delle più ampie del quartiere. È lì che le botteghe trasportano gli scheletri dei Gigli, per procedere all’assemblaggio delle diverse parti: “La mia squadra è composta da cinque persone e ognuno ha il suo compito prestabilito – spiega Giovanni – Per prima cosa innalziamo la borda con delle funi, il tutto con movimenti brevi e decisi, evitando oscillazioni. Poi ci dedichiamo alla base, chiamata anche la prima cassa, e da lì procediamo verso l’alto, prima con le parti lignee e poi applicando a mano tutti gli elementi decorativi. L’intero processo di assemblaggio richiede uno o due giorni, a seconda anche delle condizioni atmosferiche. La scadenza, però, è tassativa: tutti i Gigli devono essere pronti a terra entro la seconda metà di settembre”.

La ballata dei Gigli


Ultimata la costruzione, le paranze prendono possesso dei Gigli e li testano lungo il percorso, trasportandoli da piazza de Franchis fino alle rispettive piazzole di appartenenza. Siamo, ormai, a ridosso della festa, nella penultima settimana di settembre. Gli striscioni addobbano le strade, le bandiere iniziano a spuntare dai balconi, le associazioni organizzano concerti e feste per la cittadinanza.
Il tutto in crescendo fino all’ultima domenica di settembre quando gli obelischi sfilano per i vicoli di Barra per l’intera giornata mostrando tutta l’abilità degli alzatori, delle paranze e delle bande musicali. Il percorso ogni anno è lo stesso: si passa per corso Sirena, via Martucci, Corso Bruno Buozzi e via Serino, creando un circuito di forma rettangolare.

Musica, sfottò e amicizia

Oltre alla produzione artigianale dei Gigli, la Festa di Barra vanta, infatti, un’abbondante produzione di testi e musiche composti appositamente per la ballata degli obelischi. Ed è qui che si manifesta la rivalità tra le paranze, con canzoni che prendono in giro l’una o l’altra parte, diventate simboli dei diversi rioni. Dalle canzoni dell’antica tradizione napoletana fino a quelle moderne rivisitate, ogni ballata segue un ritmo preciso, che guida il movimento dei cullatori.

Tra gli autori delle colonne sonore che accompagnano la ballata c’è Michele Saccone, 24 anni, cresciuto a Massa di Somma, un comune alle pendici del Vesuvio. Michele è un figlio d’arte: il padre, Maurizio Saccone, è un’istituzione nel panorama musicale giglistico, oltre ad avere alle spalle una carriera di 30 anni da sassofonista. “Ho iniziato a studiare musica da quando avevo 7 anni. Provenire da una famiglia di musicisti – riflette Michele – è senza dubbio un vantaggio. Mio padre è stato il mio primo maestro, poi sono entrato in Conservatorio e lì ho completato gli studi”.

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Michele Saccone con il suo sax

“Quando decisi di suonare sui Gigli mio padre era contrario – aggiunge Michele – perché diceva che c’erano molti suonatori che partecipavano, magari senza avere la mia stessa competenza musicale, ma disposti a qualunque compromesso pur stare sul Giglio a suonare. Ma io non volevo saperne: così, nel 2004, misi piede per la prima volta sull’obelisco come secondo sax, con mio padre al mio fianco. Ero talmente emozionato che quasi non riuscii a suonare”.

Oggi Michele, che fa anche il maestro di sax presso l’associazione culturale “Guitar School”, insieme con la sua band “World Music”, partecipa a molte feste napoletane e fa parte di più di cinque comitati diversi tra Barra, Nola e Brusciano, cercando di conciliare tutti gli impegni lavorativi. “Quanto prendi l’impegno con un Giglio sai che ti porterà via un anno intero di lavoro. Ad ogni modo, amo il mio lavoro e, anche se il mestiere non viene adeguatamente compensato, un giorno vorrei tramandare ai miei figli questa passione. Per ora cerco di farlo da maestro, con i miei allievi”.

Uno strumento di riscatto sociale. Ma la festa non è solo competizione. Per molti degli appassionati è sinonimo di aggregazione, fratellanza e di forte amicizia sia all’interno delle associazioni sia tra gruppi rivali. Lo sa bene Vincenzo De Micco, tesoriere dell’associazione “Passione Infinita”, che da anni si batte affinché la manifestazione sia un momento di aggregazione tra le diverse generazioni di barresi. “Noi abbiamo fatto da apripista per molte associazioni – racconta Vincenzo – che, neonate, hanno scelto di condividere il nostro spirito. Come gli amici di Bravi ’93, che amano la festa tanto quanto noi e la vivono 365 giorni l’anno, organizzando mercatini, spettacoli per bambini, sagre. Insomma, eventi che si svolgono anche in periodi diversi da quello della festa e che coinvolgono un pubblico più ampio ed eterogeneo”.

Vincenzo si è dovuto spesso scontrare con i preconcetti di una parte dei barresi, che non vedono di buon occhio l’eccessiva animosità della festa e spesso hanno preferito starne alla larga. “A volte non si percepisce lo sforzo che c’è dietro la macchina organizzativa e soprattutto i tentativi volti a darne maggiore lustro. Lo ripeto da sempre: la festa non deve essere un momento a sé, ma una risorsa da utilizzare per favorire il riscatto culturale e sociale del nostro quartiere”.


Amici, più che rivali. Un riscatto che deve necessariamente partire dai giovani. Ragazzi come Eduardo Desiderio, Antonio Minichini e Salvatore Auricchio che condividono da sempre la passione per la Festa, si sono uniti nel 2014 e hanno formato il gruppo “Amici del legno”, in collaborazione con Bravi ’93. “Ci conosciamo da sempre – afferma Salvatore – siamo cresciuti tutti nello stesso quartiere e sono più di dieci anni che viviamo il panorama giglistico. Così un giorno ci siamo detti che potevamo fare qualcosa per contribuire alla festa e così è nato il nostro gruppo”.

Tanti ragazzi che condividono una passione e vogliono realizzare un progetto per il proprio quartiere: “A noi della competizione interessa poco e anche nulla – ammette Eduardo – vogliamo soltanto divertirci e fare in modo che tutti conoscano le potenzialità del nostro territorio. All’inizio ci sono state resistenze anche da parte delle nostre famiglie che non approvavano la nostra decisione, la consideravano una perdita di tempo. Poi vederci lì tutti insieme, a festeggiare sotto l’obelisco e a divertirci. come loro facevano un tempo, deve avergli fatto un bell’effetto e ci hanno appoggiato”.

Al centro del progetto di questi ragazzi non c’è solo la ballata degli obelischi: “L’associazione vive durante tutto l’anno. Organizziamo mercatini, spettacoli, tornei di briscola – raccontano – cerchiamo di coinvolgere ragazzi di tutte l’età. La Festa dei Gigli non nasce e muore in una sola settimana. Va vissuta durante tutto l’anno”.
Già, perché la ballata è solo la summa. La Festa, come dicono spesso da queste parti, comincia proprio nel momento in cui finisce.

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