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in convento, il futuro padre Fedele (in fondo a destra)
tiene stretto il pallone |
Primi
calci
“ Si può giocare a pallone?”. Fu una delle prime domande
del piccolissimo Francesco, quando entrò in convento per inniziare
la sua vita religiosa. Per padre Fedele, al secolo Francesco Bisceglia,
figlio di un emigrante di Laurignano, pochi chilometri a sud di Cosenza,
calcio e chiesa vennero insieme.
Al seminario infatti c’erano i campi e i palloni veri, quelli di
cuoio. Inizialmente per il futuro monaco c’erano state emozioni
più primitive. Strappava la lana dal dorso delle pecore -racconta-
per poi riempirne una calza di donna. E il pallone era fatto. Erano gli
anni del dopoguerra italiano, drammatici nel sud, e questo era uno dei
sistemi escogitati dal piccolo padre Fedele per divertirsi insieme agli
altri bambini di Laurignano. Francesco studia a Napoli per poi prendere
i voti nel ‘64.
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uno dei momenti di confronto tra i giovani a Milano
nel '68 |
Milano,
il sessantotto
“Vennero gli anni della contestazione – racconta padre Fedele
- in un terreno fertile come poteva esserlo quello di Milano, dove alla
Cattolica mi sono laureato in lettere. Io Marx lo capisco, ma mi butto
con Gesù Cristo”. Il sessantotto? “L’ho vissuto
in prima linea, ho fatto anche la prima occupazione all’università.
Certo anche lì non smettevo di celebrare le messe”. I ricordi
sono tanti. “Furono anni di forte condivisione. Mi viene in mente
un episodio, durante una prima alla Scala. Buttarono le uova sulle signore
impellicciate. Quello m’è piaciuto. Tra le persone, ricordo
vivamente Mario Capanna, compagno mio. Eravamo giovani, e lui era un ragazzo
molto estroso. In seguito ho avuto modo di rivederlo qui a Cosenza”.
Forse anche per questo passato non troppo canonico quando padre Fedele
cammina per le strade di Cosenza c’è anche chi lo guarda
con sospetto. “Ma poi riconoscono – racconta una volontaria
dell’Oasi francescana, Anna Navarra Corrente – tutto quello
che fa per l’Africa e per i bisognosi di Cosenza. Si fidano di lui,
lo aiutano”. Padre Fedele si racconta, gli sfugge qualche confessione:
“Io non sono un meditativo, sono un passionale. Sono un imprudente,
un irruente. A volte parlo troppo, poi mi pento. E mi hanno anche perseguitato,
bastonato – si sa - soprattutto per il tifo in curva. Mi hanno dato
del bestemmiatore. Non ho mai bestemmiato in vita mia. Ne ricevo di critiche,
ma spesso non ne do adito. E all’interno dell’ordine religioso,
si sa, ho sempre rispettato le gerarchie”.
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