di ENRICO FORZINETTI
URBINO – Al New York Times c’è Margaret Sullivan, al Pais il ruolo è ricoperto da Lola Galàn, al Guardian invece la figura del public editor è rappresentata da Chris Elliott. Da pochi giorni Anna Masera ha assunto questo ruolo alla Stampa, per la prima volta nel panorama editoriale italiano. “Farò da tramite tra la nostra community e la redazione. Mi occuperò di far correggere errori nei pezzi segnalati dai lettori e rispondere alle loro obiezioni deontologiche – dice la Masera – ma allo stesso tempo prenderò spunti e suggerimenti dalla nostra community per proporli alla redazione”.
Un lavoro fatto rispettando una precisa catena di comando, sottolinea la Masera.”La Sullivan è indipendente dal direttore, talvolta ci ha anche litigato, io invece lavorerò a stretto contatto con il direttore Maurizio Molinari – tiene a ricordare la Masera – È lui per primo a voler sapere se arrivano delle critiche o delle osservazioni. Possiamo dire che farò da ufficio stampa degli stessi lettori”. Così, ad esempio, la prima iniziativa nasce proprio dal dibattito aperto da un editoriale del direttore Molinari sui fatti avvenuti la sera di capodanno a Colonia. La Stampa ha invitato i lettori a mandare delle domande su Islam, terrorismo e ruolo delle donne a cui ha risposto il poeta siriano Ali Ahmad Said Isbir, in arte Adonis, sul sito e sul quotidiano di giovedì 14 gennaio.
Se nel resto del mondo la figura del public editor è presente già da anni, in Italia si tratta di una novità. In passato è esistito per pochi mesi il “Garante dei lettori”, introdotto per un breve periodo da Repubblica a inizio anni ’90, ma prima ancora, nel 1986, il Messaggero diretto da Vittorio Emiliani tentò l’esperimento. Lo stesso Emiliani ricorda l’esperienza di 30 anni fa: “Nominammo il giurista ed ex presidente della Consulta Giuseppe Branca, ma la sua esperienze durò solo alcuni mesi. Quando andai via dal Messaggero, poco dopo anche Branca se ne andò – continua Emiliani- Se prima sul giornale c’era stato spazio per articoli critici contro la Montedison, allora editrice del giornale, per l’inquinamento a Marghera, quando un lettore ripropose la questione sotto la nuova direzione, Branca ebbe difficoltà tali da decidere di lasciare l’incarico. Non c’era più infatti la necessaria indipendenza dalla proprietà”.
In Italia, quasi tutti gli editori sono anche proprietari di grandi aziende: “In questo sistema dipendere dal direttore mi garantisce una maggior indipendenza rispetto al fare riferimento all’editore stesso, come accade invece alla Sullivan – continua la Masera – Un’altra differenza fondamentale è che lei è una giornalista esterna alla redazione del New York Times, io a La Stampa ho lavorato 15 anni, prima di trascorrere gli ultimi come Capo ufficio stampa della Camera dei deputati”. Per Masera la conoscenza della redazione torinese è un grande vantaggio, anche se il suo lavoro non sarà semplice: “So che potrò sembrare antipatica nei confronti dei giornalisti in redazione quando dovrò portare loro le obiezioni dei lettori, ma il fatto di conoscere l’ambiente e le persone mi aiuterà molto”.
Una prospettiva condivisa anche da Vittorio Roidi, professore di deontologia alla scuola di giornalismo di Perugia: “Una persona che sa come funziona la redazione può certamente rappresentarla meglio di fronte ai lettori che pongono questioni o si lamentano”, sottolinea il giornalista che nel 1986 lavorava al Messaggero con Vittorio Emiliani.
L’obiettivo di un public editor è anche quello di risollevare la reputazione di giornali e giornalisti, non sempre particolarmente elevata. “Cercheremo di offrire un giornalismo trasparente e di buon livello – sottolinea la Masera -grazie al contributo dei nostri lettori. I canali attraverso i quali svolgerò la mia attività sono la pagina Facebook dedicata, uno spazio sul sito e sul quotidiano sarà presente ogni martedì una rubrica”.
“La Stampa – aggiunge ancora – ha deciso di mettersi in gioco di fronte alla sua community: spero che la nostra scelta possa essere apprezzata”.
Sulle possibilità che questa figura possa aver spazio nel panorama giornalistico italiano le opinioni, però, sono discordanti. Emiliani e Roidi, pur riconoscendo l’importanza di un ruolo di questo tipo, non credono possa avere futuro. Di parere diverso è Anna Masera: “Magari questo esperimento fallirà, ma personalmente penso ci sia bisogno di un public editor nel giornalismo odierno. Anzi spero che la novità che abbiamo introdotto porti altre testate a nominarne uno per la loro redazione. Ma per qualsiasi valutazione del mio lavoro bisogna aspettare, alla fine sono attiva soltanto da qualche giorno”.