“Più liberi e meno ricchi, per non mollare la professione”: il ritratto del giornalista freelance italiano nel 2017

Tintin, il reporter belga nato dalla matita di Hergé nel 1929.
di MATTEO MARIA MUNNO

URBINO – Fare il giornalista freelance in Italia non è più una scelta ragionata, ma una direzione obbligata in carriera: sensazioni che emergono dalla visione di due giornalisti autonomi, esperto delle Marche uno e specializzato negli esteri l’altra.

Il Ducato ha messo a confronto le prospettive di Luigi Benelli – ex allievo dell’Ifg di Urbino e freelance esperto del territorio marchigiano – e Francesca Lancini, freelance esperta negli esteri lavorativamente divisa tra Italia e Francia.

Dal confronto tra questi due professionisti nasce un ritratto complesso e sfaccettato del freelance oggi: deve saper fare tutto ed essere specialista in un settore, senza prescindere dalla formazione alla professione e dal luogo in cui lavora, restando costantemente sul pezzo anche in termini di strumenti da utilizzare per raccontare storie. E tutto questo senza avere ancora un riconoscimento adeguato, sia in termini remunerativi che di considerazione nel mercato del lavoro. A sollevare in positivo il piatto della bilancia, però, è la maggior flessibilità e libertà di movimento. Al netto di tutto questo, di mollare la penna non se ne parla: in ballo c’è il diritto costituzionale ad un’informazione libera e corretta.

Una fotografia a tinte scure quella del giornalista freelance italiano: ecco perché essere come il giovane reporter Tintin creato da Hergé, almeno in Italia, è un percorso in salita.

Il freelance italiano in numeri

Produrre la metà dei prodotti dell’industria giornalistica italiana e guadagnare cinque volte meno di un redattore con contratto: questo il ritratto del giornalista freelance in Italia, fatto nel 2015 da Pino Rea nel rapporto di ‘Libertà di stampa diritto all’informazione‘.

Nonostante queste premesse, il lavoro autonomo nel giornalismo sta vivendo un periodo di crescita: nel 2015 il 65,5% del mercato è composto da liberi professionisti; 4 freelance su 10 sono donne. La composizione del mercato giornalistico cozza con il panorama nazionale delle altre professioni, dove i lavoratori autonomi sono il 24%.

Il confronto con altri paesi è impietoso: un giornalista autonomo negli Stati Uniti guadagna circa 20.000 dollari all’anno, che equivalgono a 17.896 euro, cioè almeno 6.000 euro in più di un pari ruolo in Italia.

Luigi e Francesca: la prospettiva del freelance da due punti di vista

Dal confronto con Benelli e Lancini esce quindi sì un ritratto unico, un minimo comun denominatore di questo ‘approccio’ a volte obbligato alla professione. Ma essere un freelance inserito nel mercato giornalistico locale e internazionale comporta necessariamente delle differenze, non del tutto scontate.

Un ‘pro’ e un ‘contro’ nell’essere freelance in Italia?
Luigi: “Uno dei pro è sicuramente la possibilità di gestire i tempi. Il contro è che con le tariffe basse bisogna lavorare molto. Non ci sono malattie, perché vuol dire lavorare meno. Il freelance su scala locale deve essere più degli altri sul pezzo”.
Francesca: “Il pro dovrebbe essere la maggiore flessibilità e libertà, anche di movimento. Ho deciso di fare la freelance essendomi sempre occupata di esteri, volevo andare sul posto. In Italia la professione di freelance non è mai decollata realmente. Questa forma di esercitare la professione è più una condizione in cui ci si trova che una scelta vera e propria in molti casi”.

Con il reddito di un freelance in Italia si possono avere ritmi regolari tra sfera lavorativa e sfera privata, simili a un dipendente?
L:
“Ho moglie e due figli: non ho mai rinunciato a nulla, anche se mi sto rendendo conto che magari devo fare altro per star tranquillo a fine mese”.
F: “Le redazioni si sono ridotte all’osso, come in altri Paesi, ma in Italia manca la cultura del freelance: è un barcamenarsi continuo. Lavorare per un giornale straniero vuol dire avere più chiarezza del proprio ruolo, per questo integro con il lavoro fuori dall’Italia. Dobbiamo emanciparci: è un problema culturale, come si vede in altri settori”.

Francesca R. Lancini

I direttori e gli editori si rapportano allo stesso modo con i freelance e i dipendenti?
L:
“Nelle redazioni locali, o perlomeno in quelle marchigiane, siamo praticamente indispensabili: facciamo il giornale, e i direttori si rapportano con noi sapendo che siamo necessari. Possono magari fare un’edizione senza freelance, ma poi non si riesce più”.
F: “Semplicemente dipende da chi capita. Se c’è una persona onesta, ci può essere una buona collaborazione. Anche se le redazioni sono sempre meno, sono comunque un luogo da vivere, lì si impara a lavorare e ad avere uno scambio di opinioni: quando vedo giornalisti che sono cresciuti da soli, nella loro stanza, mi chiedo come fare questo mestiere senza un lavoro di squadra, senza alcuna figura che te lo insegni”.

La ricetta giusta per essere un freelance in Italia nel 2017?
L:
“Da ex allievo consiglio di puntare sui settori, specializzandosi e diventare i massimi esperti di un qualcosa, altrimenti è difficile imporsi sul nazionale. Sul locale, invece, bisogna saper fare tutto, senza mai sottovalutare nulla”.
F: “Essere completamente autodidatta è molto difficile, non si può prescindere da un periodo di apprendimento, indifferentemente dal percorso che si vuole affrontare. Un esempio in questo senso è il digitale: il punto non è utilizzarlo e basta, ma farne un buon uso, e non essere soggetti alla ‘dittatura dei clic’, che è una visione miope del giornalismo. Va bene possedere molti strumenti sul quale fare affidamento, ma vanno scelti con cura caso per caso. Anche in questo caso all’estero i contenuti e le professioni sono diversificate e, quando possibile, integrate valorizzando altre professionalità autonome: in Italia, almeno in buona parte, c’è caos”.

Di fronte ad una situazione del genere, non è remota la possibilità di cambiare professione: “Ho pensato più volte, durante la mia carriera, di smettere – conclude Francesca – ma così si andrà a perdere un diritto fondamentale come un’informazione corretta ed onesta, ed è un valore che investe tutti”.