di GIACOMO TIROZZI
URBINO – Nell’ultimo anno a Urbino si sono perse 28 imprese, il numero più alto registrato negli ultimi dieci anni, compresi quindi quelli della grande crisi. Anche se manca all’appello ancora l’ultimo trimestre. Una città in cui non sembra esserci opportunità per nuove attività commerciali. Questo il bilancio dell’ultimo decennio: nel 2017 (dati fino al 30 settembre) hanno chiuso 87 aziende, due in più rispetto al 2016, a fronte delle 59 che hanno iniziato la loro attività.
I dati della Camera di Commercio rivelano una costante diminuzione nel comune di Urbino delle imprese in attività. Se nel 2007 erano 1.787, al 30 settembre 2017 sono 1.719 con un calo del 4%. Diminuiscono anche il numero di registrazioni di inizio attività, passate dalle 135 del 2007 alle 59 del 2017 (fino al 30 settembre), dato in costante declino dal 2011.
Unica nota positiva la cessazione delle attività commerciali – più alta negli anni della grande crisi economica – e ora in calo. Queste sono passate dalle 125 del 2008 alle 85 del 2016.
Se andiamo a vedere il numero di imprese totali, negli ultimi tre anni è rimasto sostanzialmente invariato, fino al brutto dato dell’anno in corso.
Guardando i dati dal punto di vista storico, invece, si può riscontrare come dopo la crisi del 2008-2009 il numero di imprese era in costante salita: da 1.747 si era passati a 1766 nel 2011 e 1.775 nel 2012 (nel 2007 erano 1787).
Questo trend positivo si interrompe nel 2013 quando le partite iva sono crollate di 20 unità, passando a 1.755. Da allora sono in costante calo.
La crisi dei piccoli negozi è in stridente contrasto con il dibattito politico di queste ore, che invece si concentra sulle aperture nei giorni festivi dei negozi, che riguarda soprattutto i grandi centri commerciali. Luigi Di Maio, candidato alla presidenza del consiglio dal Movimento cinque stelle, ha detto che tutte le famiglie hanno diritto al riposo. Anche quelle che posseggono o gestiscono esercizi commerciali.
Un problema che a Urbino non è sentito visto che i negozi non sono aperti nei giorni festivi, eccezion fatta proprio per i centri commerciali che secondo alcuni possono danneggiare il commercio dei piccoli esercenti: “Non permettono ai piccoli imprenditori di lavorare” commenta un gestore di un negozio di prodotti tipici del centro storico. Di diverso avviso un agente di commercio di Gubbio arrivato in città per affari: “Chiudere qualsiasi tipo di negozio nei giorni festivi va contro gli interessi degli stessi commercianti, restare aperti un giorno in più rimane comunque una possibilità per incrementare le vendite”. Più cauta una docente dell’università: “Chiudere i negozi nei giorni festivi non è la soluzione del problema perché esiste anche la concorrenza dell’on-line che è imbattibile. Un possibile punto di incontro sarebbe quello di pagare i lavoratori un po’ di più e garantire loro i giorni di riposo”.
Cna Marche contesta la legge di bilancio e aderisce alla campagna #bastablabla
Non sono solo i piccoli commercianti a sentire la crisi, ma anche le aziende locali in difficoltà per l’eccessivo carico fiscale che incide sui costi di produzione. Per questo motivo le piccole imprese della zona contestano la legge di bilancio in discussione in Parlamento e già approvata al Senato. 18.000 artigiani e piccoli imprenditori delle Marche, iscritti alla Cna di Pesaro e Urbino, criticano le misure adottate dal governo e hanno aderito alla campagna #bastablabla. In prima linea la Cna Marche secondo cui la norma penalizza gli artigiani: “Siamo delusi e arrabbiati” hanno affermato all’unisono il presidente Gino Sabatini e il segretario Otello Gregorini. Per i due rappresentanti dell’associazione la legge non favorisce le piccole imprese che rappresentano il 98% del sistema produttivo regionale e occupano il 54% degli addetti, contribuendo per il 48% del Pil. “L’economia marchigiana subisce proprio per questo – ricordano i due – le conseguenze della mancata deducibilità dell’Imu sugli immobili strumentali (ovvero sugli edifici a uso industriale e non abitativo) e la mancata esclusione dall’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive che serve per finanziare il sistema sanitario e il cui gettito va per oltre il 90% alle Regioni, ndr)”. Sabatini e Gregorini chiedono anche il ripristino dei crediti di imposta al 65% per la riqualificazione energetica degli edifici, in realtà misura già inserita nella manovra.