Kenan,
musulmano, 23 anni, ha perso il padre in un attacco serbo
a aprile 1992. La sua famiglia è stata fra le prime a tornare.
"La prima volta fu nel 1998, con mia madre.
Ci avevano fatto salire su un autobus, e mi ricordo che io ero il
più piccolo. Era un viaggio organizzato dalla Polizia. Siamo
venuti a valutare la situazione. Mi ricordo che c’era un silenzio
tombale, e le piante avevano invaso tutto, sembrava una giungla.
Eravamo i primi a entrare in paese dal 1992.
Poi abbiamo cominciato a venire ogni tanto. E' stato come iniziare
una nuova vita, sembrava di tornare indietro di cinquant’anni.
All’inizio abitavamo da mia nonna, in una delle prime case
ricostruite. Non c’erano né luce né acqua. Era
una situazione strana, perfino bella. Di giorno si lavorava moltissime
ore per svuotare le case dalle macerie. Spesso si andava a dormire
alle sette di sera. Era tornata anche qualche ragazza, era davvero
una situazione romantica, perché la sera l’unica luce
era quella delle candele.
Ci siamo divertiti molto in quel periodo. La sera andavamo in giro
come matti. Non c’era legge, non c’era protezione, ma
fra noi c’era una sensazione di euforia. Nel 2000 si faceva
festa tutte le notti per celebrare la rinascita del paese.
Dopo qualche tempo sono cominciati ad arrivare gli aiuti, e allora
anche altre famiglie sono tornate. E adesso che è tornata
quasi la normalità, non siamo più uniti come all'inizio.
Prima della guerra eravamo tutti una grande famiglia. La guerra
ha creato una mentalità più individualista, perché
ogni famiglia ha avuto una storia diversa. C’è gente
che vivendo all’estero ha fatto fortuna; per questo c'è
invidia per quelli che tornano da fuori.
N oia e povertà creano divisioni. Se non hai la macchina
guardi male chi ce l’ha. C’è competizione anche
tra le ragazze, perché ci sono più donne che uomini.
I primi giorni c’era un legame molto intimo. Poi sono ricominciati
i conflitti.
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