“Non
sono lucido, ieri ho bevuto più di quello che dovevo. Sai,
gli obblighi del ruolo”. Admir è stanco, il giorno
dopo aver fatto da testimone al matrimonio del suo migliore amico.
Per la cerimonia, ma anche per il viaggio che lo ha riportato fin
qui da Torino.
Mancava da casa dallo scoppio della guerra, nel
1992. Era tornato solo l’estate scorsa per aiutare il padre
a risistemare la casa. E confessa che a differenza dei genitori
non aveva il minimo desiderio di tornare: “Berko è
un amico, non potevo dirgli di no”.
Berko e sua moglie Fachrina sono due bosniaci come tanti, in un
certo senso è stata la guerra a farli incontrare. Profughi
fin dall’adolescenza, si sono rifatti una vita in Germania:
è là che si sono conosciuti. Ed è là
che torneranno dopo il viaggio di nozze. Però il
giorno del matrimonio hanno scelto di trascorrerlo a casa.
Una giornata di festa per Kolibe, che ha richiamato amici e parenti
da una decina di paesi d’Europa.
“La situazione – spiega Admir l’indomani - era
strana. Penso sia per questo che la gente si ricostruisce la casa,
per sensazioni come quella di ieri sera. Fare il matto e sapere
che sei a casa tua è qualcosa che in Svezia o in Italia non
puoi fare. Là ci troviamo bene magari. Ma è
diverso sentirti a casa, fra la tua gente. E poi –
aggiunge con un orgoglio – è stato un vero matrimonio
tradizionale”.
Anche
se nessuno è musulmano praticante, il cerimoniale
si applica con rigore. Prima si va tutti a casa della sposa.
Lo sposo aspetta fuori, sta alle famiglie combinare. La trattativa
si svolge davanti a un caffè. I familiari di lei, ovviamente,
si fingono contrari. Allora spetta al testimone mercanteggiare e
promettere ricchezze in quantità. Quando il padre, dopo un
po’ di tira e molla, dice che si potrebbe combinare, la sposa
sale in camera a prepararsi con l’aiuto delle damigelle. Sulla
porta c’è la transazione ufficiale: “Una compravendita
scherzosa, è chiaro. Ma i duecento euro che ho sborsato erano
veri”.
L’acquisto dà il via alla festa in giardino,
con alcolici e balli per tutto il pomeriggio. La famiglia della
sposa prepara degli ornamenti da appuntare sugli abiti degli invitati.
Il testimone resta accanto alla sposa per impedire che qualcuno
la rapisca, o le rubi una scarpa prima che le nozze siano celebrate.
Il matrimonio si celebra in comune, dove arriva una fila di auto
strombazzanti.
“Sono distrutto, non so se per il vino o per la situazione.
Sembrava un film, io sotto un tendone pieno di estranei che undici
anni fa erano miei compagni di scuola. C’era aria di festa,
tante belle ragazze che magari conoscevo da bambine, e la domanda
che ho ricevuto più di frequente era: Admir, quando tocca
a te?”. Ma non riuscirei mai a vivere qui pensando
che i miei vicini mi bombardavano. Adesso mi salutano magari.
S’informano: Come state? Inutile, non potrò mai abituarmi.
Anche se ieri sembrava tutto come prima”.
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