Dal
monte Putuo all’Esquilino
A novembre è stato inaugurato
il primo tempio cinese buddhista
d'Italia. Si trova in via Ferruccio, a pochi passi da piazza
Vittorio
Schierate
sui tavoli verdure e piramidi di dolci e di pasta di riso
e caramelle. Accanto, le statue sacre arrivate qualche mese
fa direttamente dalla Cina. “Lisa”
assieme a molti altri cinesi dell’Esquilino
si prepara a festeggiare per la prima volta il Capodanno
nel tempio buddhista “sotto casa”.
Siamo a Roma, nel quartiere
multietnico dell’Esquilino, dove vive la maggior parte
dei cinesi della capitale. Siamo in via Ferruccio,
in un appartamento-garage di 300 metri quadrati. Il 6 novembre
del 2005 qui è stato inaugurato il primo tempio buddhista
cinese d’Italia.
“Avevamo bisogno di far visita al Buddha
prima di andare al lavoro o di aprire il negozio, Non avevamo
un luogo adatto e accendevamo ceri votivi in casa. Così
abbiamo deciso di crearlo”, dice Sun Wei Ji,
una donna che si fa chiamare Luisa, tra i
più attivi nella gestione del tempio.
“Ci pensavamo già da dieci anni ma solo l’anno
scorso siamo riusciti ad affittare l’appartamento. Prima,
invece, erano i parenti rimasti in Cina a pregare per noi”.
Ad occuparsi del tempio è la comunità
cinese di Roma, attraverso offerte
e autotassazione. La gestione vera e propria è molto
informale, sono di solito due, tre persone come “Lisa”
a farlo quotidianamente.
A Roma e provincia – secondo le statistiche e le stime
ufficiali – vivono tra i cinquemila e i settemila cinesi,
in massima parte provenienti da una zona circoscritta del
Zhejiang, nella
Cina
meridionale.
E’ qui che sorge il monastero
dell’isola di Putuo, una delle quattro
montagne sacre al buddhismo, nell’arcipelago dove sarebbe
approdata l’incarnazione femminile del Buddha per salvare
l’umanità.
E da questa montagna sacra, che appartiene
a una comunità di mille buddisti, sono venuti i monaci
che alla fine del 2005 hanno fondato il tempio-garage su uno
dei “Sette colli” di Roma. Quello che ha dato
il nome al quartiere più multietnico della capitale
e che per la presenza intensiva dei cinesi rischia di diventare
la “chinatown”
romana.
Per
il tempio, dice Luisa, “si impegnano un po’ tutti,
ma c’è chi ha più tempo e mezzi per partecipare
attivamente”. Ci sono anche dei “laici”,
vestiti di nero o marrone, che affiancano i monaci nelle preghiere.
Il
tempio di Roma è un tempio “strano” per
più di una ragione: la sua struttura, prima di tutto,
e poi anche la sua veste “giuridica”.
La cosa interessante della struttura del nuovo tempio, secondo
Fabrizio del Passo, docente di Storia Contemporanea
alla Sapienza che la sta analizzando assieme a un collega
americano, “è proprio la sua anomalia: il fatto
che non si sviluppi verso l’alto come tutti i templi
buddisti ma occupi una specie di garage”. La struttura
del tempio dovrebbe essere ascendente per simboleggiare l’elevazione
spirituale.
La
comunità, in realtà, sta già pensando
di comprare un pezzo di terra per costruirne un altro “a
norma”. Per questo però non servono solo i soldi
che si stanno raccogliendo. Serve anche un riconoscimento
giuridico. Per ora, infatti, il “tempio nel garage”
non è ufficialmente un luogo di culto, ma un “circolo
Arci”. Un escamotage trovato dall’Arci
e dal suo presidente Alberto Giustini per
superare gli ostacoli burocratici.
Giustini
è la parte “italiana” dell’esperimento. Lui e la sua
associazione si occupano anche di sponsorizzare i visti che consentono di tanto
in tanto a monaci provenienti dalla Cina di bruciare un po’ di incenso nel
“garage” dell’Esquilino.