Ore 12.50
“Abbiamo trascorso un’infanzia idilliaca. Nostro padre e nostro zio erano mafiosi, non ci mancava niente. Ma è proprio da questo che inizia la rottura di Peppino: dalla sua famiglia”. Non usa mezzi termini Giovanni Impastato, fratello di Peppino, il militante antimafia fatto saltare in aria da Cosa nostra il 9 maggio del 1978. Giovanni ha parlato stamattina in una conferenza nell’Aula magna della facoltà di Scienze politiche a Urbino, colma di studenti per l’occasione.
“Peppino – ha spiegato il fratello – è stato l’erede del movimento contadino siciliano del dopoguerra, che può essere considerato il controcanto della Resistenza antifascista al nord. Ma nello stesso tempo era figlio del suo tempo, della protesta contro la guerra in Vietnam, di Bob Dylan e di Joan Baez: è riuscito a rendere la nostra città, Cinisi, il punto di riferimento della controcultura siciliana”.
Dal giornale “L’idea socialista”, alla militanza politica nelle file di Democrazia proletaria, alla realizzazione del circolo “Musica e cultura”, alla famosa “Radio Aut”, vero e proprio centro di lotta antimafia, da dove Impastato apostrofava con sarcasmo i mafiosi locali, Peppino è stato uno dei pionieri in sicilia della nuova informazione libera che ha caratterizzato l’Italia degli anni sessanta. “Prima d’ogni altra cosa – ha aggiunto Giovanni – Peppino era un poeta. Una volta, dalla cima di un promontorio, esclamò: ‘…ma quale lotta di classe!’. Insomma: aveva la capacità di guardare oltre e di anticipare i tempi”.
Peppino Impastato è stato sequestrato dai mafiosi locali agli ordini di Gaetano Badalamenti, portato in un casolare della ferrovia tra Palermo e Trapani e fatto saltare in aria con del tritolo il 9 maggio ’78, lo stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. L’obbiettivo era quello di farlo passare per un terrorista rosso, o per un suicida. Suo fratello è lapidario: “Volevano infangare la sua memoria. Tutti quelli che hanno indagato sulla morte di Peppino sono stati uccisi. Solo dopo molti anni abbiamo ristabilito la verità storica e gli assassini sono stati condannati. La sua vicenda è indice della mancanza totale di legalità nel nostro paese, dove ogni tentativo di cambiamento profondo della società è stato fermato dall’emersione, puntuale e calcolata, dello stragismo”. (l.r.)