Ritorna alla casa dove viveva quando era adolescente, a Urbino, per le vacanze e per far visita alla sua famiglia. Ma Alessandro Carloni lavora dal 2001 negli Stati Uniti per la casa di animazione hollywoodiana Dreamworks. La sua ultima fatica è Dragon Trainer , uscito un mese fa, di cui è capo della storia e dell’animazione. Ma un ruolo importante lo ha avuto anche in Kung Fu Panda , uscito nel 2008 e candidato agli Oscar 2009 come miglior film di animazione. In uno dei suoi soggiorni a Urbino ha deciso di incontrare gli alunni dell’Istituto d’arte che studiano per fare il suo stesso mestiere.
Come è diventato animatore?
“Io facevo l’illustratore e studiavo filosofia. Mi pagavo il liceo facendo delle illustrazioni, poi ho capito che c’è un mestiere che unisce il raccontare delle storie con le immagini: il cinema. Il primo lavoro che ho fatto è stato in uno studio in Germania che si chiama Munich Animation che mi ha assunto a 17 anni. Stavo per iscrivermi all’università per fare filosofia e letteratura e invece ho smesso perché ho trovato lavoro”.
Cosa è successo dopo questa esperienza in Germania?
“Ho seguito il lavoro, ho fatto un paio di lavori in Svizzera, in Francia, in Danimarca, poi in Inghilterra finché sono arrivato a Los Angeles alla Dreamworks”.
Qual è il prossimo lavoro?
“Sto aiutando a scrivere il seguito di Kung Fu Panda. Ma è ancora presto per dire come andrà a finire. Se viene fatto bene dovrebbe uscire nell’estate del 2011. Poi vedremo. Ora il mio lavoro è quello di presentare nuove idee alla Dreamworks per fare film futuri”.
Perché ha deciso di parlare ragazzi dell’Istituto d’arte che saranno gli animatori di domani?
“C’è un’idea di preparare una serie di seminari, da parte mia. E spero di coinvolgere altre persone della Dreamworks. Più che altro è uno scambio: spero che loro mi dicano molte cose, voglio ascoltare quali sono i loro interessi. C’è una grande confusione nelle scuole europee e specialmente italiane per capire l’applicazione dell’arte e come si può applicare l’arte senza comprometterne l’integrità etica. Molti considerano Hollywood come una vendita della legittimità dell’arte. Secondo me è un’idea sbagliata”.
Quindi Hollywood non ha vocazione solo commerciale
“Certo, il tuo lavoro può rimanere integro e non necessariamente devi compromettere le tue scelte. Poi c’è un grande gioco di squadra a Hollywood, mentre l’Europa si basa sul cinema d’autore. Negli Stati Uniti hai un artista che ti crea il design di un film, un regista che ti sa raccontare una storia, uno scrittore che ti sviluppa quella storia e tutti assieme lavorano per la riuscita di un film. Mentre l’Europa si basa molto sull’autore che ha una visione, il Fellini o il Wim Wenders. Entrambi i tipi di cinema hanno creato dei capolavori e non dovrebbero attaccarsi a vicenda”.
Però le risorse economiche statunitensi sono superiori a quelle europee e molto di più a quelle italiane.
“Vero. Ma c’è questo concetto che i soldi siano necessari per supportare il sistema statunitense. Certo, i soldi servono per fare film colossali, un film come Avatar non si fa con due lire. Tuttavia l’approccio alla struttura gerarchica o alla struttura creativa di un film – chi compie quale ruolo – non ha effetto sul budget di un film. Fare un film d’autore o fare un film di studio, dove il regista ha un ruolo, lo scrittore ha un ruolo, l’art director ha un ruolo, non costa di più. Sono semplicemente due modi diversi, come un James Joice che scrive due parole al giorno e si spreme il cervello per cosa creare e uno scrittore russo che fa venti pagine al giorno: è un approccio diverso allo stesso mestiere. I soldi poi arrivano quando uno vuol fare un film incredibile come Avatar o Guerre Stellari”.
In Italia c’è cultura del film di animazione?
“Non molto. Gli studi americani riescono fare dei film facili da produrre, non perché hanno tanti soldi ma perché hanno alle spalle altri venti film. In Italia per fare un film si crea uno studio, si chiamano i produttori, gli artisti, gli animatori, i manager, si fa il film e poi tutti tornano a casa. Gli investitori dovrebbero avere voglia di costruire uno studio, creare questa struttura. Come avere un ospedale piuttosto che chiamare i medici e gli infermieri a casa per fare un’operazione.
In Europa si è fatto qualcosa a Londra: ci sono stati grandi studi che creano effetti speciali per lungometraggi, molti degli effetti speciali di Harry Potter sono stati fatti da studi di Londra, che una volta avviata questa struttura cominciano a fare film loro. La cultura del cinema deve basarsi su una struttura che cresce, non semplicemente su un autore e chiamare qualche artista. A lungo termine non funziona”.
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