La mitica “terza pagina” del Giornale d’Italia, uscita per la prima volta il 10 dicembre 1901, dopo una prima nazionale di Eleonora Duse. E la rubrica sui libri del Tg1, che forse casualmente, forse no, dal 18 ottobre 2009 si chiama Billy, come la più celebre libreria venduta dall’Ikea. Tra queste due date c’è un secolo di giornalismo culturale, un tempo fiore all’occhiello dell’informazione italiana e oggi solo una tra le tante categorie. A indagare sul suo stato attuale il ciclo di incontri “Cultura/Media. Gli scenari contemporanei dell’informazione culturale”, organizzato dal dipartimento di Scienze della comunicazione dell’Ateneo.
Giornalista Rai e conduttore della trasmissione Per un pugno di libri, Piero Dorfles vorrebbe che le trasmissioni avessero più cultura. “Sono molti i programmi – afferma- in cui, se fossi il programmista, inserirei un po’ di cultura. A partire da Bontà sua, la Prova del cuoco, per arrivare a Festa italiana e alla Vita in diretta. Anche in un programma come L’eredità, perché non spiegare l’origine delle citazioni di cultura generale con cui si fa il quiz? L’informazione offre pochi spunti critici anche per una questione economica: il pensiero critico non vende, invece la spettacolarizzazione è il funerale del giornalismo culturale. C’è una caduta delle competenze specifiche degli ospiti: invece che un critico, si dice sempre di invitare in trasmissione ‘qualcuno che non ne sa nulla’”.
È ottimista Riccardo Chiaberge, che dirige il domenicale del Sole24Ore. “Credo – afferma – che il giornalismo culturale non sia affatto in estinzione: ci sono molti validi colleghi che vi si dedicano, e in rete c’è un fiorire di iniziative interessanti, come aNobii, il social network della lettura. La crisi delle grandi testate è irreversibile. Vengono tagliate le collaborazioni esterne, impiegando professionalità interne, ma anche un giornalista che da tanti anni si occupa di cultura, come il sottoscritto, non può avere la competenza, il prestigio e l’autorevolezza di Remo Bodei o Emilio Gentile”. In ogni caso, secondo Chiaberge, “il futuro delle ‘grandi cattedrali’ dell’informazione è segnato. Il giornalismo culturale sopravvivrà con strutture agili, con costi fissi minori, che si conquisteranno l’autorevolezza con una sorta di selezione naturale”.
Per Giorgio Zanchini, giornalista e conduttore di Tutta la città ne parla su Radio3, “il giornalismo culturale italiano è ancora di alta qualità, soprattutto quello sulla carta stampata. Le pagine di cultura – spiega – non vengono tanto lette dai giovani, che preferiscono usare internet, la dieta mediatica è sicuramente molto cambiata”. Quanto alla radio, “non ha subìto molte modifiche, soprattutto per quanto riguarda i Gr nazionali, quelli classici. A cambiare – aggiunge Zanchini - è il ruolo degli attori, cioè dei giornalisti culturali. Non possono più basarsi solo sui comunicati stampa, ma devono saper navigare in Internet e trarre le informazioni da blog e siti web”.
Guida alla rete:
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