Istituto per la Formazione
al Giornalismo di Urbino

i corsi - la sede - contatti
gli allievi - i docenti - l'istituto

Il giornalismo senza scrittura

di    -    Pubblicato il 28/04/2010                 
Tag:

Le immagini scorrono sullo schermo del computer. Parte una musica di sottofondo e qualche istante dopo si sente la voce di un uomo che inizia a raccontare la storia dei marines che attaccarono nel 2004 Falluja, Iraq. Non è un video. E’ visual journalism,l’ultima frontiera del giornalismo nell’era digitale. In Italia si contano ancora sulle dita di una mano i giornalisti che conoscono questa novità.
Secondo l’enciclopedia online Wikipedia il visual journalism “è la pratica di combinare strategicamente parole e immagini per trasmettere informazioni”. E’, appunto, “giornalismo visivo”: audio gallerie, mappe, fotografie interattive, infografiche, ma anche designer editoriale. Un ampio panorama che ha come denominatore comune il fare informazione attraverso immagini, siano esse foto – singole o montate in sequenza con un eventuale audio di sottofondo – disegno della struttura grafica di un giornale.

“L’immagine diventa notizia” spiega Andrea Galdi coordinatore del visual desk di Repubblica.it. “Il visual journalist, ossia il giornalista visuale – dice Galdi - lavora solo con le immagini, le fotografie e i video. La nostra attenzione è rivolta a come valorizzare questo contenuto
che arriva dalle agenzie stampa, da internet e dalle segnalazioni e dai prodotti dei lettori, che ormai sono sempre più frequenti”.

Nelle redazioni dei grandi giornali americani e britannici si parla di visual journalism già da una decina di anni, ossia da quando si cominciava a capire che internet sarebbe stato potenzialmente utile al giornalismo. Tanto che oggi negli States e in Inghilterra raccontare con immagini o infografiche un fatto o una storia è diventato un business che è uscito dalle redazioni e ha acquisito una vita autonoma.

Uno su tutti è il caso di Mediastorm.org, una società nata con l’ambizione di “utilizzare l’animazione, l’audio, il video e il potere della fotografia per realizzare una gamma di narrazioni che vadano al cuore della condizione umana”. La sua nascita risale al 2005 per mano di Brian Storm, un giornalista con alle spalle un’esperienza maturata nell’agenzia fotografica Corbis e nel network americano Msnbc e oggi esperto di visual journalism. Dalla loro fabbrica uscì la pluripremiata audio galleria “The Malboro Marine”, sulle difficoltà che un marine americano ha incontrato tornando alla vita di tutti i giorni dopo essere stato uno dei protagonisti dell’attacco a Falluja durante la guerra in Iraq, nel novemre del 2004.

Lungo è anche l’elenco delle facoltà e delle scuole di giornalismo americane dove si tengono corsi e seminari sul visual journalism: il Nieman Journalism Lab di Harvard, il Poynter Institute dell’università di St. Petersburg in Florida, il Knight Digital Media Center all’università californiana di Berkley, il Reynolds Journalism Institute dell’università del Missouri e la Columbia University di New York sono solo alcuni esempi. Come dire, all’estero si insegna, ci guadagnano e ci vincono premi, mentre il visual journalism in Italia “si fa, ma non si dice”.

Nel nostro paese il primo esempio pratico di una redazione che quotidianamente lavora su prodotti giornalistici intesi in senso multimediale è stata creata a Repubblica. Nato come costola, prima della redazione del giornale cartaceo e poi della redazione online, oggi il visual desk di Repubblica.it si occupa di tutti i servizi interattivi del gruppo editoriale L’Espresso e ha come costante punto di riferimento i lavori prodotti dal New York Times. “Abbiamo creato – racconta Andrea Galdi – una struttura che non lavora più sulla realizzazione di pezzi scritti, ma sulla realizzazione di immagini, di video e sull’interattività. In una gallery di Repubblica.it c’è una didascalia molto corta e poi lasciamo che parlino le immagini disposte in senso giornalistico. Una scelta che viene fatta in base alla rilevanza dell’immagine e seguendo un racconto cronologico del fatto come fosse un video”.
“I giornali italiani – continua Galdi – sono ancora in una fase sperimentale e arrivano dopo rispetto agli americani che hanno un po’ più di coraggio. Infatt,il gruppo L’Espresso ha fatto una scelta coraggiosa decidendo di provare a seguire la strada di tutti i grandi giornali del mondo. Ossia, di uscire da una visione di un giornalismo su internet che è solo una riproduzione dei contenuti che vanno in edicola. Questo sta mettendo un po’ in difficoltà il giornale, che deve cercare delle nuove strade. Il sito di Repubblica oggi copre una buona parte dei fatti che succedono nel corso della giornata e questo impone al giornale di ripensarsi come prodotto cartaceo, magari dedicandosi di più all’approfondimento”.

Guida alla rete

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/04/27/foto/foto_sfasciacarrozze-3662222/1/

http://ifg.uniurb.it/speciali/speciali-2008-2010/suoni-rumori-e-scatti-dai-quattro-angoli-di-urbino/

Sullo stesso argomento:

Un commento to “Il giornalismo senza scrittura”

  1. The Royal Blind scrive:

    Il videogiornalismo in Italia è ancora agli albori, purtroppo.
    Ma i fan delle videogiornaliste sono tanti e ne fanno sfoggio…

    http://theroyalblind.altervista.org/wordpress/?p=45