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Pirateria, sciopero contro il “Sopa”: la Rete sfida le major americane

di    -    Pubblicato il 17/01/2012                 
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Lo sciopero del 18 gennaio

Aggiornato alle ore 12.00 di martedì 17 gennaio 2012

A lanciare l’idea del black out è stato Reddit, noto portale-community di condivisione di contenuti. Poi sono arrivate le adesioni di Mozilla, Twitpic, XDA Developers, mentre poche ore fa anche Wikipedia ha annunciato che oscurerà la sua versione inglese. Ma ci stanno pensando anche altri big come Facebook, Amazon e Google, spinti da milioni di utenti che vorrebbero salvaguardare la libertà e i diritti del web.

Sono questi i nomi dei siti e dei social network che stanno preparando per il 18 gennaio “The Great Internet Strike ”, il grande sciopero della Rete. Dodici ore, a partire dalle 8.00 di mattina, nelle quali non sarà possibile accedere a servizi diventati ormai di uso quotidiano. Anche il web “abbasserà le serrande”, questa volta in formato digitale: navigare sarà complicato, si salveranno solo le caselle di posta elettronica.
Il motivo? Tutta colpa del SOPA, acronimo di Stop Online Pricy Act, proposta di legge in discussione al Congresso degli Stati Uniti che, in nome della difesa del diritto d’autore, rischia di porre limitazioni evidenti alla libertà d’espressione su Internet.

La controversa proposta è stata presentata il 26 ottobre dal deputato repubblicano Lamar S. Smith, ma l’interesse della politica contro la pirateria on line è comunque bipartisan. Una proposta gemella (il PIPA, Protect Ip Act),è stata infatti presentata in Senato dal senatore democratico Patrick Leahy.

Il deputato repubblicano Lamar Smith, promotore del SOPA

Il 24 Febbraio riprenderà il dibattito alla Camera: molte aziende hanno così deciso per una protesta di grande impatto, prima che il SOPA diventi legge, come sperano invece major e grandi corporation dell’industria dell’intrattenimento.

La proposta di legge
–  Così come chiarisce Wikipedia, SOPA permetterebbe ai titolari di copyright statunitensi di “agire direttamente per impedire la diffusione di contenuti protetti”. Basterebbe l’accusa di non rispettare la legge sul diritto d’autore, per permettere agli stessi detentori dei diritti e al Dipartimento di Giustizia americano di procedere legalmente sia contro i siti Internet sospettati, sia nei confronti di chi aiuterebbe la violazione (anche attraverso un semplice link).

L’Attorney general (il ministro della Giustizia) potrebbe così imporre ai fornitori di servizi internet (ovvero agli ISP, Internet Service Provider) l’obbligo di impedire ai propri utenti l’accesso ai siti accusati di vendere o pubblicare materiale coperto da copyright negli Stati Uniti, oltre a bloccare canali di finanziamento e pubblicità (una misura già richiesta in passato dalla Casa Bianca a Pay Pal nei confronti di Wikileaks).
Tra le sanzioni è compresa la reclusione fino a cinque anni: lo streaming on line verrebbe punito così allo stesso modo della vendita di merci contraffatte. Basterebbe postare su YouTube un video con in sottofondo una musica coperta da diritto d’autore per compiere un reato e rischiare il carcere. Si pensi al caso di Stephanie Lens, la madre accusata dalla Universal di violare il diritto d’autore per aver pubblicato il video del proprio bambino che balla sulle note di Prince.
La legge prevedrebbe per l’accusato la possibilità di presentare appello entro cinque giorni: il blocco dei siti sarebbe però precedente al reale accertamento della violazione attraverso un processo.

Secondo i promotori della protesta i poteri concessi all’autorità giudiziaria sarebbero eccessivi: tra questi sarebbe prevista anche la cancellazione dei risultati nei motori di ricerca.

Le conseguenze – Per molti gestori di siti l’approvazione della SOPA significherebbe l’obbligo di controllare in modo capillare tutto il materiale che viene pubblicato dagli utenti. “Un’operazione tecnicamente impossibile – afferma Maurizio Codogno, portavoce di Wikimedia Italia – dato che ci costringerebbe a controllare manualmente milioni di collegamenti esterni”. Tutto in modo preventivo. Codogno sottolinea come Wikimedia Foundation – la società che gestisce la grande enciclopedia libera di Wikipedia, tra i dieci siti più visitati al mondo – concordi sulla necessità di difendere il diritto d’autore: “Ogni presunta violazione del copyright viene già immediatamente cancellata. Lo Stop Online Piracy Act rischia però di diventare controproducente, mandando nel caos tutta la Rete”.

The Strike must go on – Di fronte alle proteste della Rete, un dietrofront è stato deciso dai promotori almeno per quanto riguarda l’utilizzo del sistema di filtro dei Dns (Domain name system), pensato per oscure gli Internet service provider con contenuti illeciti e inizialmente previsto nel PIPA.

La Rete però continua a non fidarsi: la rimozione potrebbe essere solo un modo per accelerare l’iter di approvazione della SOPA, rinviando in futuro la discussione sull’uso dei Dns. Per questo, in attesa di sapere come protesterà la NetCoalition (organizzazione che riunisce Google, Amazon, Fb), lo sciopero del 18 resta confermato. Alla fine ha aderito anche Wikipedia: la versione inglese resterà inaccessibile per ben 24 ore, a partire dalle 5.00. Lo ha annunciato lo stesso fondatore Jimmy Wales sul suo profilo Twitter: “Avviso agli studenti! Fate i vostri compiti presto, Wikipedia mercoledì protesta contro una cattiva legge”.
Non è la prima volta che l’enciclopedia viene oscurata per protesta: già il clamoroso black out della community italiana durante il dibattito sul Ddl Intercettazioni (nel quale si prevedeva l’estensione per i siti internet dell’obbligo di rettifica entro 48 ore, pena pesanti multe) contribuì in modo fondamentale al ritiro della proposta. Condividendo le preoccupazioni sugli effetti che l’approvazione del SOPA avrebbe “per la libertà del web e di Wikipedia”, anche la versione italiana ha espresso la propria solidarietà nei confronti dei colleghi inglesi (vedi comunicato).

Intanto allo sciopero si uniranno anche diverse iniziative degli utenti: oltre 25mila iscritti su Twitter sono pronti a modificare le immagini del proprio profilo in segno di dissenso. Senza dimenticare il numero infinito di petizioni: su Avaaz.org a mobilitarsi sono già più di un milione, sotto la sigla “Save the Internet”. “Il pericolo – denunciano molti utenti – è che si utilizzi il pretesto delle violazioni per impedire l’accesso a siti e contenuti politicamente non graditi”. Per molti altri, SOPA rischierebbe di porre un freno all’innovazione e alla nascita di start-up nel settore delle Ict.

Anche la Casa Bianca è intervenuta con una nota ufficiale, pubblicata dallo staff di Obama sul sito di petizioni We the people: “Crediamo che la pirateria online sia un grave problema che richieda una forte risposta legislativa, ma non sosterremo una legge che riduca la libertà di espressione, aumenti i rischi per la cyber sicurezza o mini alla base il dinamismo e l’innovazione della Rete globale”. Una posizione fortemente criticata da Rupert Murdoch, proprietario di News Corp. Su Twitter il magnate ha accusato il presidente degli Stati Uniti di “essersi unito ai padroni della Silicon Valley che minacciano di pirateria e di furto puro e semplice tutti i creatori di software”. Tra questi Murdoch inserisce anche Google, accusato di “linkare ai siti che violano il diritto d’autore”. Mountain View ha rispedito le accuse al mittente: “Ogni giorno combattiamo la contraffazione. Invece del Sopa, sarebbero utili leggi che obblighino i network di pubblicità online a tagliar fuori i siti pirata”. La posizione di Murdoch è criticata anche dal giornalista Jeff Jarvis: ricostruendo i suoi tweet su Storify, Jarvis accusa il magnate di “non comprendere cosa siano i link, nè l’architettura della Rete”.

Il precedente italiano – Anche nel nostro paese la Rete ha protestato contro l’aumento eccessivo delle competenze di Agcom sulla tutela dei diritti di proprietà. Dopo diverse modifiche, lo schema di regolamento proposta dall’Autorità di garanzia sulle comunicazioni (aperto a settembre a consultazione pubblica) prevede la possibilità per il gestore del sito di rimuovere entro 4 giorni contenuti sospettati di “violazione” (procedura di notice and take down). Qualora una delle due parti non ritenga la procedura soddisfacente, è possibile rivolgersi all’AgCom: dopo un contraddittorio di dieci giorni, sarà così questa a decidere su eventuali rimozioni. La procedura dinanzi all’Agcom è però alternativa e non sostitutiva della via giudiziaria e si interrompe in caso di ricorso al giudice. “Non riguarda – spiega Agcom – l’esercizio del diritto di cronaca, né prevede inibizione all’accesso ai siti contestati”. Un regolamento molto criticato, fin dalla prime bozze: in attesa della versione definitiva, si sono registrate le perplessità anche della Vice-Presidente della Commissione Europea Neelie Kroes.

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