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Wikileaks, grafici e tabelle: il giornalismo punta sui dati

di    -    Pubblicato il 9/03/2012                 
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URBINO – Non più solo parole ma dati. È sempre più frequente, soprattutto sul web, trovare tabelle, grafici interattivi, mappe che accompagnano un articolo o sono essi stessi l’articolo. È il cosiddetto data journalism, un tipo di giornalismo che parte dai dati e li usa come mezzo per arrivare alle notizie.

Una competenza sempre più richiesta oggi nei giornalisti, tanto che è appena nato il “Data journalism award”, un riconoscimento internazionale proprio per il giornalismo dei dati. Tra il 30 maggio e l’1 giugno, a Parigi,  verranno premiati per la prima volta i sei migliori lavori giornalistici basati su dati, siano essi inchieste, applicazioni, visualizzazioni o storytelling.

A promuoverlo il Global Editors Network (un’associazione che unisce direttori editoriali e altri vertici editoriali delle principali testate del mondo con l’intento di rompere le barriere tra i vecchi e i nuovi media e creare nuovi strumenti per il giornalismo) in collaborazione con l’European Journalism Center e con il supporto di Google. Partner italiana Wired Italia.

Quello che ha tutta l’aria di essere il Pulitzer del data journalism mira a diffondere  questo nuovo modo di fare giornalismo. “Come giornalisti – dice il presidente della giuria Paul Steiger al Daily Wired.it – stiamo utilizzando sempre più massicciamente dati numerici e banche dati per produrre informazione. Il premio punta proprio a premiare l’innovazione in questo settore e a stimolarne l’evoluzione”.

Un settore, quindi, in rapida espansione. Soprattutto in un momento in cui la rete pullula di dati, grazie agli open data (i dati accessibili a tutti senza alcuna restrizione o controllo) e a politiche di open government (secondo cui l’attività dell’amministrazione pubblica dovrebbe essere aperta e a disposizione di tutti i cittadini). Ma non solo.  “Le più importanti storie degli ultimi due anni – ci spiega Simon Rogers, direttore del Datablog e del Datastore del quotidiano The Guardian – sono state modellate dal data journalism. WikiLeaks, la crisi finanziaria, le rivolte in Inghilterra: senza il data journalism il modo in cui avremmo compreso questi eventi sarebbe stato completamente diverso”.

Tutto questo, però, non dovrebbe essere una novità. Rogers ha scritto una guida con la quale spiega cos’è il data journalism e come viene usato nella sua redazione. Nel primo punto si legge: “Il giornalismo dei dati esiste da quando esistono i dati”. Niente di nuovo, quindi? La differenza, secondo Rogers, è che mentre prima “i dati venivano pubblicati in libri molto costosi” oggi abbiamo fogli di calcolo e computer che aiutano a fare gran parte del lavoro.

Detta in questo modo sembrerebbe quasi che chiunque, grazie a strumenti semplici come Many Eyes, Google Fusion Tables o Timetric, sia in grado di raccogliere e aggregare insieme dati grezzi, dandogli un significato. Ma non è esattamente così.
Dire che i dati sono ‘aperti’, liberi, pubblici non equivale a dire che sono anche facilmente accessibili. C’è bisogno di una mediazione, di qualcuno che sappia leggerli, interpretarli  e spiegarli. Che sappia ‘tradurli’ in un linguaggio comune e comprensibile a chiunque. Qualcuno che faccia le domande giuste e tiri fuori le storie che stanno dietro i numeri. Quel qualcuno è il giornalista che continua, quindi, a rivestire un ruolo fondamentale.

Perché, come scrive Rogers nel suo decalogo, “siamo noi la connessione tra i dati e le persone che vogliono capire di cosa si sta effettivamente parlando”.

L'immagine rappresenta i collegamenti tra i 11.616 documenti - rilasciati da WikiLeaks - riguardanti le azioni più importanti della guerra in Iraq nel solo mese di dicembre del 2006. Ogni punto è un documento, etichettato con le tre parole più rilevanti che lo riguardano. I documenti simili sono collegati tra loro da una riga. Le posizioni dei punti sono astratte e non indicano una posizione geografica.

Un esempio tra tutti WikiLeaks. Dal novembre 2010 centinaia di migliaia di documenti segreti sono stati pubblicati on line nel sito creato da Julian Assange. Il suo intento era quello di dare ai cittadini le informazioni in modo diretto e allo stato puro. Ma senza l’intermediazione dei giornali, a cui poi Assange ha dovuto cedere, difficilmente si sarebbe venuti a conoscenza delle notizie celate in migliaia di pagine.

Sono proprio i giornalisti che le hanno cercate, trovate e rese ‘leggibili’ a tutti. Le hanno ordinate, filtrate, rese comprensibili. E ne hanno permesso la diffusione a livello mondiale.

Che si usino grafici, mappe o numeri, dietro ognuno di essi, quindi, ci deve essere una storia. L’abilità del giornalista sta nel nel trovare il modo migliore per raccontarla.

Anche per questo motivo a novembre è nato un progetto, il “Data Journalism Handbook”, un manuale che vuole essere una guida per gli stessi giornalisti che si avvicinano a questo tipo di giornalismo, dando indicazioni sulla tipologia dei dati disponibili ma dispersi disordinatamente nel web e sugli strumenti di lavoro migliori per aggregarli.

Un libro alla cui stesura partecipano circa quaranta giornalisti di diversi Paesi, ma aperto anche al contributo di chiunque voglia collaborare con la propria esperienza e professionalità. Basta iscriversi alla mailing list del sito Data Driven Journalism e quando il libro sarà terminato, forse tra poco più di un mese si augurano i coordinatori del progetto, lo si potrà poi scaricare gratuitamente online.

Essere un data journalist oggi è sempre meno una scelta o qualcosa da cui un bravo giornalista può prescindere. “Usare dati e numeri per raccontare le storie – conclude Rogers – non è più inusuale. E’ semplicemente giornalismo”.

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Un commento to “Wikileaks, grafici e tabelle: il giornalismo punta sui dati”

  1. […] i dati non sono certo una novità, ma la loro progressiva apertura sta contribuendo alla forte diffusione del data journalism: un giornalismo che parte dai dati per arrivare alla notizia. Non solo numeri […]