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Dieci punti per spiegare il giornalismo dei dati

di    -    Pubblicato il 9/03/2012                 
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URBINO – Il giornalista del Guardian Simon Rogers, direttore di Datablog, il blog del quotidiano inglese dedicato al data journalism, ha stilato una guida in dieci punti per spiegare cos’è questo ‘nuovo’ tipo di giornalismo. Eccola:

1. Forse oggi va di moda, ma non è qualcosa di nuovo
Il giornalismo dei dati esiste da quando esistono i dati. A metà dell’Ottocento Florence Nightingale, un’infermiera britannica,  scrisse una relazione sulle condizioni dei soldati inglesi nel 1858. Nella prima edizione del Guardian (1821) venne pubblicata una tabella che elencava tutte le scuole di Manchester, il costo e il numero degli studenti. La differenza è che mentre in passato i dati venivano pubblicati in libri molto costosi, ora computer con fogli di calcolo e programmi specifici fanno da soli metà del lavoro.

2. Open data significa anche open data journalism
Oggi i numeri e le statistiche non sono più riservate a pochi ma sono a disposizione di tutti coloro che hanno un foglio di calcolo sul proprio computer, tablet o smartphone. Chiunque può accedere a un database e dargli la forma che preferisce. Per un giornalista è facile sbagliare, ma è altrettanto facile trovare l’aiuto di alcuni gruppi indipendenti (per esempio ProPublica, Wheredoesmymoneygo?Sunlight Foundation) che si muovono con semplicità nel mondo dei dati.

3. Il data journalism è diventato una vetrina?
Qualche volta. Oggi ci sono così tanti dati a disposizione che si cerca di dare ai lettori i fatti chiave di una vicenda. La loro ricerca è, quindi, tanto complessa e importante quanto lo è la ricerca dell’intervista giusta per un articolo di giornale.

4. Database sempre più grandi su questioni specifiche
I dati a disposizione dei giornalisti sono sempre più numerosi (basta solo pensare ai 391 mila documenti rilasciati da WikiLeaks sull’Iraq) e riguardano questioni specifiche. Un bravo data journalist dovrebbe riuscire a rendere tali dati accessibili e comprensibili a tutti.

5. Il data journalism è 80% sudore, 10% grandi idee, 10% risultati.
Si passano delle ore a fare in modo che i database funzionino, a riformattare i dati e a mescolarli. I giornalisti agiscono soprattutto da ponte tra i dati e le persone che vogliono capire di cosa si sta davvero parlando.

6. Forma lunga e forma breve
Lavorare sui dati tradizionalmente significa passare settimane ad analizzare un singolo database, elaborarlo e infine estrapolarne qualcosa. A volte il risultato è un incredibile scoop, altre è un buco nell’acqua. Ma sempre di più oggi si sta affermando una ‘forma breve’ di data journalism, secondo cui i dati chiave vengono individuati immediatamente, analizzati e fornirli ai lettori mentre la notizia è ancora in circolo. Il trucco sta nel formulare queste analisi con le tecnologie a disposizione nel minor tempo possibile. E farlo comunque in modo corretto.

7. Tutti possono farlo…
Soprattutto grazie a strumenti come Google Fusion Tables, Many Eyes, Google Charts o Timetric, che si trovano gratuitamente nel web, è possibile creare grafici e tabelle di ogni genere e dimensione partendo dai dati in nostro possesso.

8…ma l’aspetto è molto importante
Un buon design è, però, ancora importante. Alcune delle migliori visualizzazioni del Guardian (come quella che spiega le relazioni tra i protagonisti delle intercettazioni telefoniche dello scandalo News of the World o la mappa sull’apparato governativo britannico) funzionano perché non sono state disegnate da un computer ma da persone che capiscono le vicende rappresentate.

9. Non c’è bisogno di essere un programmatore
Il compito principale è quello di pensare ai dati come un giornalista e non come un analista. Perché determinati numeri sono interessanti? Cosa c’è di nuovo? Cosa può succedere se si incrociano con altri dati? Rispondere a queste domande è ancora la cosa più importante.

10. Si tratta (ancora) di storie
Il data journalism non riguarda solo grafici, tabelle e visualizzazioni. Si tratta di raccontare le storie nel miglior modo possibile cercando nuove modalità di narrazione. I giornalisti se ne stanno rendendo conto sempre di più, tanto che essere un data journalist oggi non è più qualcosa di inusuale. È solo giornalismo.

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2 commenti to “Dieci punti per spiegare il giornalismo dei dati”

  1. […] questo, però, non dovrebbe essere una novità. Rogers ha scritto una guida con la quale spiega cos’è il data journalism e come viene usato nella sua redazione. Nel primo […]

  2. […] Rogers, direttore di Datablog, il blog del Guardian dedicato a questo tipo di produzioni, ma anche storie e soprattutto molta fatica: “80% sudore, 10% grandi idee e 10% risultati”, il bravo giornalista deve essere in […]