URBINO – “Sono stato in giro per trent’anni. Nicaragua, Salvador, Argentina, Unione sovietica e ho incontrato personaggi che mi hanno accompagnato per la vita. Son andato in Africa durante le elezioni di Mandela, ma i veri protagonisti erano le persone. I volti, la gestualità”, racconta Flavio Fusi, giornalista Rai ed ex caporedattore del Tg3, ai giovani colleghi dell’Istituto per al formazione al giornalismo e ai ragazzi di Scienze della comunicazione di Urbino. I ragazzi dell’Ifg hanno anche raccontato su Twitter l’incontro.
“Mi sono innamorato di questo mestiere, delle immagini – continua Fusi – perché alcuni fotogrammi hanno il potere di raccontare più di pagine e pagine di parole. L’immagine è anche effetto, è rumore. Non bisogna descriverla, ma lasciarla parlare”.
Ma chi era e com’è cambiato nel tempo il lavoro del giornalista televisivo? “Una volta l’operatore accompagnava e il giornalista, munito di macchina da scrivere e catturate le immagini e scritto l’articolo si lavorava in concerto con il montatore. Insomma, ognuno aveva la sua competenza ben definita. Si privilegiava la qualità del racconto”. Oggi non è più così. “Si rinuncia alla storia in favore della tempestività – spiega il giornalista – e per avere lo scoop nell’immediato i colleghi, molto spesso sono anche operatori e montatori”.
Fusi parla dei diversi generi televisivi e degli stili narrativi che il giornalista può scegliere per descrivere la realtà. “L’inchiesta è affascinante – dice – ‘scoperchia i pentoloni’ per raccontare come stanno veramente le cose”. Un modo per andare oltre la notizia, analizzando le cause e cercando di rispondere ai tanti perché di un determinato fatto. “Il reportage, invece, parla della vita. Quando a Mosca c’è stato il colpo di stato – ricorda – a pochi chilometri di distanza da questo avvenimento clamoroso di cui tutto il mondo parlava la gente continuava a condurre normalmente la propria vita”. Oggi si realizzano meno reportage perché vince la notizia usa e getta che ha l’illusoria pretesa di riuscire a spiegare le cose. “Si è ridotto a periferia dell’informazione. Siamo bombardati da notizie che si cancellano a vicenda”.
Il corrispondente dedica poi una riflessione al fenomeno del citizen journalism che stravolge il sistema classico dell’informazione. “In questo caso la tradizionale trasmissione dell’informazione ‘top-down’ , cede il passo a iniziative che vengono ‘dal basso’ (bottom-up), da chiunque”. Questo nuovo modo di fare informazione nasce nel 2005 quando, per documentare l’attentato alla metropolitana di Londra, furono le immagini registrate dai cittadini ad essere usate per l’apertura di tutti i telegiornali. Ma i rischi sono dietro l’angolo. “Le immagini girate con i telefonini che arrivano in redazione – dice Fusi – possono essere anche impressionanti, ma alle volte non di facile interpretazione. Riescono a muovere la comunità, ma anche a ingannarla”.
La notizia data attraverso fotogrammi si mescola anche con generi che non le appartengono. “Oltreoceano – il reporter Flavio Fusi conclude così il suo intervento – si privilegia oggi la scelta di un’informazione in cui si incontrano il giornalismo e letteratura. Una formula che riesce a fotografare la realtà in cui viviamo”.