URBINO – La comunicazione orale e il ruolo dell’intellettuale moderno, la comunicazione come anarchia che si contrappone all’autorità dei media. L’attore, cantautore e autore radiofonico David Riondino ha affrontato soprattutto questi temi al Teatro Sanzio di Urbino in occasione dell’appuntamento “Da Boccaccio a Dottor Djembé” del Festival del giornalismo culturale.
Per spiegarlo Riondino ha imbracciato la chitarra arrangiando una canzone nata ai tempi della trasmissione di Rai Radio3 “Dottor Djémbe” che racconta la storia di come Boccaccio rispose a chi lo accusava di occuparsi di temi troppo bassi: “Scrisse che non era lui a dover salire nel Parnaso, ma che erano le Muse a dover scendere per suggerirgli come raccontar delle donne”.
Riondino ha dato la stessa risposta sostenendo una comunicazione dal basso, non più prerogativa dei sapienti, ma eredità da tramandare ai posteri attraverso i racconti e la poesia. “Ormai l’autorità ce l’hanno i media, è lì che si esercita la coercizione del vero. Invece la comunicazione, diffusa e alla portata di tutti, dà modo al popolo di creare la propria realtà e verità. È un’anarchica forma di fioritura poetica che dà vita all’universo delle persone”.
E la radio si inserisce in questo contesto, poiché è il mezzo di diffusione più immediato e più “semplice” da decifrare per l’ascoltatore con cui si instaura un rapporto di convivialità. “Quello che colpisce della radio è che la credibilità si ottiene attraverso la condivisione e l’affidabilità. In un momento in cui non esistono più certezze e mancano le risposte, la cosa che conta di più è la fiducia dell’ascoltatore che non deve mai sentirsi preso in giro”.
Spesso durante l’incontro viene citato Socrate, riformatore della comunicazione e punto di passaggio dalla verticalità del sapere al dialogo orizzontale. Partendo dal filosofo ateniese e passando attraverso il mito della caverna, si rivendica il dovere dell’intellettuale a uscir fuori e, come Boccaccio, mischiarsi con mondo, conoscerlo. Ma la personalità eclettica di Riondino esce fuori. Interrompe la riflessione e racconta di quando Socrate, durante la battaglia di Potidea, fu colpito da atopia, l’impossibilità di muoversi e la sensazione di spaesamento. “ Quando ho saputo di questo fatto- dice – ho pensato agli alpini”. A quel punto prende la chitarra e intona “il Disguido”, una canzone che narra le disavventure di un gruppo di alpini mandati per sbaglio a Copacabana e morti disidratati perché, nonostante il caldo e gli inviti delle belle donne, si rifiutarono, com’era stato imposto dal loro comandante, di togliersi il cappotto.