URBINO – “Spesso le pagine culturali in un giornale sono viste come antiche cattedrali medievali in una città del 2000. Molti vorrebbero abbatterle e costruire al loro posto centri commerciali e grattaceli, ma per un profondo senso della cultura che è in ognuno di noi vengono tutelate e lasciate al loro posto”. Luigi Mascheroni, giornalista de Il Giornale, inquadra con questa metafora la situazione del giornalismo culturale: come un bene da difendere e, secondo molti, appartenente a un’altra epoca storica.
Ma un articolo di giornale non può restare una cattedrale e come tutti i giornalismi non può prescindere dal rapporto con il mercato, con il pubblico e quindi con la società. La questione è stata affrontata nel corso di una tavola rotonda al Salone Raffaello del Legato Albani di Urbino, moderata da Piero Dorfles e animata dagli interventi di Luigi Mascheroni, Anna Longo, giornalista di Radio Rai, Raffaella De Santis, giornalista di Repubblica, e Giovanni Boccia Artieri, insegnante presso il Dipartimento di Scienze delle comunicazioni della “Carlo Bo”.
La sfida attuale è quella di continuare a essere un filtro culturale, senza relegarsi a prodotto esclusivamente di nicchia. “Il giornalista si trova davanti a un ambiente amatoriale, quello dei dei social e dei blog, molto più vasto rispetto al passato – spiega Boccia Artieri – chi scrive di cultura deve essere capace di integrarsi in questo tipo di flussi, dove si “posiziona” la maggior parte dei lettori”. Il proliferare delle fonti di informazioni e dei media, riserva quindi al giornalista un ruolo ben preciso: “Di fronte alla miriade di stimoli provenienti dai blog, dai giornali, dall’informazione mainstream e dalle nicchie – commenta Raffaella De Santis – il giornalista culturale deve fare da guida al lettore, cercare di non disorientarlo, fornirgli una visione prospettica”.
E se il lettore trova noiose le pagine culturali? “Spesso è colpa nostra – è il parere di Piero Dorfles che precisa – dobbiamo riuscire a rendere sensibili certe tematiche che i più ritengono non adatte al pubblico”. Il mercato non deve essere visto dal giornalista culturale come un antagonista ma come una realtà con cui deve inevitabilmente fare i conti: “E’ sbagliato continuare a pensare che il giornalismo culturale faccia parte di una nicchia al di fuori del mercato”.
Sulla popolarità delle notizie culturali interviene anche Anna Longo: “Di un bene culturale come Pompei, parliamo soprattutto quando avviene un crollo e non per esempio quando vengono aperte al pubblico tre domus. Dobbiamo tener conto che il pubblico si interessa maggiormente quando una notizia culturale lo riguarda, quando trovano un nesso con la sua vita, il sua lavoro, la sua quotidianità”.
“Il giornalismo culturale, se fatto con passione, onestà e sincerità può frenare il declino del paese – conclude Piero Dorfles – deve però cercare di rivolgersi a un pubblico sempre più ampio”.