URBINO – “Gli elettori hanno chiesto questo e bisogna rispettare il loro voto. Il dissenso produce molto spesso la capacità di cambiamento”. È il breve commento di Pupi Avati sulla situazione politica italiana, argomento che preferisce non affrontare. “Non sono genericamente indignato dalla politica – ci confessa – sono piuttosto incuriosito. Mi piacerebbe scoprire com’è nella realtà l’uomo politico, come si comporta quando è a casa, quando sta con i figli”.
Abbiamo incontrato il regista bolognese poco prima della lezione che ha tenuto all’Università di Urbino, per raccontarsi agli studenti e per ricevere dal rettore Stefano Pivato il Sigillo d’Ateneo. Titolo dell’iniziativa: “Cinema e vita”.
E nel caso di Avati, che porta con sé un bagaglio di oltre quarant’anni dedicati al grande schermo – dall’esordio nel 1968 con Balsamus, l’uomo di Satana al 2011 de Il cuore grande delle ragazze – non potevano essere scelte parole più significative.
Nel corso dell’intervista rilasciata in esclusiva a Il Ducato (che troverete in versione integrale sul nuovo numero distribuito da domani) il regista dice: “Il cinema ha cambiato la mia vita in modo determinante, pensate un po’ prima mi occupavo di alimenti surgelati, poi improvvisamente mi sono ritrovato nella condizione di poter raccontare le storie che immaginavo, che inventavo io”.
È molto critico con il cinema italiano contemporaneo, perché sostiene che abbia perso di identità cercando di “orecchiare cinematografie che hanno poco a che fare con le nostre peculiarità. Il cinema riflette il paese in cui lo si fa, l’Italia si è sbarazzata in modo molto provinciale delle sue caratteristiche”. Colpa anche della televisione che, cercando di sostituirsi al cinema, ha diseducato e fatto perdere di sensibilità a quello che il regista definisce come il “palato molto raffinato che aveva il pubblico italiano”.