Partiamo da Urbino in una mattina di febbraio tersa e gelida per scoprire i luoghi simbolo di una strada, la Fano-Grosseto, che da decenni aspetta di essere completata. Dalla costa adriatica a quella tirrenica, 270 chilometri di curve e dislivelli che tagliano l’Appennino attraverso Marche, Umbria e Toscana. La “due mari” è nuovamente sul tavolo delle tre amministrazioni regionali. Ma, gira e rigira, è sempre il vecchio tracciato, quello dell’eterna incompiuta.
MAPPA Il percorso della E78
Da Urbino a San Giustino ci vuole poco più di un’ora, ma con la neve e il ghiaccio quasi due, sempre che il passo di Bocca Trabaria sia aperto. Con una strada normale, questi 65 chilometri si farebbero in tre quarti d’ora.
L’INCHIESTA Un’utopia lunga Due Mari di Alberto Sofia
Dalla città Ducale si sale verso Montesoffio, frazione di poche anime a 500 metri sul livello del mare. La strada è stretta e ghiacciata e in certi punti manca il guard-rail. Non ci sono indicazioni, ma non ce n’è bisogno, la direzione possibile è una sola. Urbania sembra lontanissima, ma la strada migliora. In poco tempo si arriva a Mercatello sul Metauro mentre il fiume ci accompagna per buona parte del viaggio. Dal paese si arriva al monumento simbolo dell’incompiuta: la galleria della Guinza.
La troviamo sepolta dalla neve e dall’oblio. È difficile anche trovare lo svincolo che da Mercatello sul Metauro porta alle gallerie. Tutti gli abitanti del paesino conoscono il “mostro” di cemento e ci indicano la strada con un sorriso amaro. Sono passati ventitré anni da quando il primo novembre 1990 il ministro democristiano Gianni Prandini tagliava il nastro per inaugurare l’inizio dei lavori.
Percorriamo una stradina stretta. Una donna che passeggia col cane toglie ogni dubbio: alla fine di quel sentiero troveremo le montagne bucate dalle gallerie. La strada dimenticata ci sfugge alla vista perché è ricoperta da mezzo metro di neve. Avrebbe dovuto essere l’inizio di un tracciato di quasi 6 chilometri per collegare le Marche all’Umbria, invece, quel che rimane è un paesaggio fantasma, simbolo dei 300 milioni di euro sprecati negli anni.
Una rete isola il cantiere, ma non è difficile ritagliarsi un valico per passare. Anche se i tempi delle corse clandestine in moto e dei mercatini abusivi in galleria sono finiti, l’accesso è ancora possibile. Un lucchetto arrugginito chiude il grosso cancello arancione di una delle due gallerie. Attraverso la grata si vede la fine del tunnel. L’altra galleria è murata e forse non vedrà mai la luce. È pronta anche la strada che si tuffa nel traforo: ci sono i guard-rail, l’asfalto, ma anche la ruggine.
Dall’altra parte della montagna c’è l’Umbria. Oltrepassata la Guinza la strada sarebbe dovuta arrivare fino a un nuovo traforo, quello che sbuca a Parnacciano. Un cancello arancione ci ricorda che siamo davanti a un altro pezzo di E78. I resti degli striscioni di chissà quale protesta, sono il biglietto da visita di questo teatro abbandonato. Qui la strada non c’è, la terra si mescola con i resti del cantiere: bulloni, masserizie, cartelli, rifiuti. Ci sono persino dei cavi di rame che spuntano dal suolo. Un muro di cemento impregnato d’acqua incornicia l’entrata della galleria. Il terreno è fradicio e i nostri scarponi si riempiono di fango. Il fiume che scorre dall’altra parte della strada sembra penetrare ovunque. Lo scenario è più degradato di quello della Guinza.
Per arrivare a Parnacciano, oggi, bisogna superare il passo di Bocca Trabaria, a 1049 metri di altitudine. Qui il percorso si trasforma in un viaggio della speranza. Trovarsi davanti un tir può rallentare ulteriormente il tragitto, non ci sono piazzole di sosta e sorpassare è molto pericoloso. La neve si accumula a bordo strada, riducendo ancora di più la larghezza delle carreggiate. Incrociamo un camion che, costretto ad allargare la manovra, invade la nostra corsia. Le montagne si alternano a piccoli paesini, superiamo i borghi di Sompiano e Lamoli dove, poco dopo l’abbazia benedettina di San Michele Arcangelo, una casetta diroccata degli attrezzi dell’Anas mostra lo stato di abbandono della zona.
Superato il valico si passa il “confine” umbro, ma vista la lunghezza del percorso, sembra di aver passato una frontiera. Inizia la discesa fino a San Giustino, una strada panoramica, ma impensabile per chi non ha tempo di gustarsi il paesaggio. In mezz’ora facciamo quindici chilometri e arriviamo al paese, dove si conclude il nostro viaggio.