FERMIGNANO – Ogni sera alle 19.00 Ahmed El Rhaidouni e i suoi ‘fratelli’ si riuniscono davanti al Conad di Fermignano. Con ancora addosso gli abiti da lavoro e i volti stanchi salgono al secondo piano del palazzo: lì c’è la loro moschea, comprata con i risparmi di tutti i fedeli, aperta un anno fa. Lasciano le scarpe ordinatamente fuori dalla porta e entrano. Alcuni si siedono sui tappeti e attendono pazientemente, altri si dirigono verso i bagni: si lavano prima di cominciare la preghiera. Quando tutti sono pronti, il muezzin si alza e richiama i fedeli: Allāhu Akbar, Ašhadu an lā ilāh illā Allāh. “Iddio è Sommo. Attesto che non v’è dio se non Iddio”.
Una tenda appesa a un filo divide in due la stanza. Dietro c’è l’area riservata alle donne: loro non possono pregare insieme agli uomini. Quando saranno finiti i lavori nella moschea, avranno un’entrata e un soppalco separato. La comunità islamica, infatti, sta finanziando anche l’ampliamento della struttura. Prima di entrare nella moschea anche io ho dovuto indossare il velo. Non hanno voluto, però, che assistessi alla preghiera.
Finito di pregare, Ahmed legge qualche verso del Corano. Lui è il loro imam, dall’arabo “stare davanti”, ha il compito di guidare e indicare la strada alla comunità. Ogni sera gira tra le vie di Fermignano e chiama a raccolta i suoi “fratelli”. “Prima che aprissimo la moschea molti si incontravano nel bar accanto al Conad. Capitava spesso che qualcuno si ubriacasse e le persone del posto si lamentavano. Adesso, invece, vengono in moschea e pregano”, racconta Ahmed. “La prima moschea l’abbiamo aperta a Gallo e adesso ci siamo riusciti anche a Fermignano. I cittadini del posto sono stati i primi a volere la sua apertura”.
“Il lavoro di imam ti coinvolge interamente. Devi dedicarti agli altri e non è facile. Ma la ricompensa sarà grande nell’aldilà”, dice Ahmed che aiuta la sua comunità come può: “È capitato spesso che il sindaco o il maresciallo dei Carabinieri mi chiedesse di intervenire quando alcuni connazionali non pagavano l’affitto e disturbavano. Ora, con la moschea le cose vanno molto meglio”.
Ahmed è arrivato in Italia dal Marocco quando aveva 23 anni: “Ero ancora un bambino. L’Italia era la mia America. Invece, all’inizio qui è stato un incubo. Non parlavo la lingua e non conoscevo nessuno”, racconta. “Mentre ero in viaggio, ho incontrato un amico che mi ha consigliato di venire a Urbino. Così, per un po’ ho vissuto a Trasanni e poi mi sono trasferito a Fermignano. Avrò fatto la valigia un miliardo di volte per tornare a casa, piangevo tutti i giorni. Invece, ho resistito, mese dopo mese e alla fine eccomi ancora qui”.
Nella sua vita Ahmed ha fatto molti lavori: è stato bovaro, camionista, metalmeccanico e lucidatore. Oggi fa il piegatore di acciaio. “Devi essere molto concentrato, se sbagli rischi che la macchina ti tagli le dita”.
Ahmed ha due figli di 7 e 11 anni: “Ho sposato mia moglie nel 1997, lei aveva 17 anni e io conoscevo solo la sua famiglia. Da noi la cosa più cosa più importante è l’educazione che ricevi dai tuoi genitori”. A casa dell’imam di Fermignano si parla solo arabo: “Non voglio che i miei figli dimentichino le loro origini, anche se sono sempre vissuti qui. Diventeranno grandi insieme ai bambini del posto. Ormai sono italiani”, racconta Ahmed.