URBINO – Il convento di San Girolamo è stato sede del carcere urbinate e oggi ospita la scuola di restauro della Carlo Bo. La facoltà di Economia si è insediata dove prima dei docenti arrivarono i Benedettini e quella di giurisprudenza nel vecchio convento degli Agostiniani. Perché Urbino è una di quelle città in cui il profumo della storia si respira in ogni angolo. Quel profumo che nasce dall’intersezione di epoche e vicende diverse, dall’accavallarsi di tracce eterogenee che sanno fondersi in unico mattone, in un’unica identità.
Nell’arco dei secoli Urbino è stata accarezzata da quasi tutte le congregazioni religiose, che l’hanno scelta per poi doverla abbandonare. Dopo l’unità d’Italia, i due decreti di Lorenzo Valerio ordinarono la soppressione di tali ordini, in modo da destinarne gli edifici a un uso pubblico. Le Clarisse dovettero vagare tra varie strutture della città, mentre le Agostiniane furono le uniche a sfuggire alla soppressione.
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Un processo di secolarizzazione di una Urbino troppo ecclesiastica, la modernità che si infila tra i vicoli e che, come ogni forma di “riciclaggio”, non dà vita a tutto quello che tocca. Urbino, centro storico e non solo, è una costellazione di 29 chiese, ma molte di queste “erbose hanno le soglie”. Con questa espressione Anna Fucili (responsabile della biblioteca dell’Accademia di Belle Arti di Urbino) e Tiziano Mancini (responsabile per le relazioni pubbliche della Carlo Bo) hanno sottotitolato il loro testo dedicato alle chiese fuori le mura della città ducale. Ma per imbattersi nelle “erbose soglie” non è necessario oltrepassare i confini del centro storico; si incontrano anche da via Raffaello a piazza della Repubblica, proseguendo verso via Budassi o via Saffi. Sono le soglie costruite dal tempo e dall’oblio, delle chiese ormai chiuse e dimenticate, che sfuggono ai passanti e spesso anche ai residenti. Sono chiese svuotate, spogliate della loro identità per trasferirle al caldo dei musei, soprattutto del Palazzo Ducale. Spolverare Urbino da tutta la sua cristianità, non per eliminarla ma piuttosto per nasconderla, ha imposto a molte opere d’arte una destinazione museale per cui non erano state progettate. A rimetterci sono state quelle chiese non più aperte al pubblico, cadute nel vortice del dimenticatoio o destinate a funzioni completamente diverse da quelle originarie.
Solo in via Saffi, tra l’odore dei libri universitari e dei pranzi arrangiati nei piccoli bar, ce ne sono due, a pochi metri di distanza l’una dall’altra. La chiesa di Sant’Agostino si estende subito dopo il vicolo omonimo ed è chiusa da circa trenta anni. Non sconsacrata, ma neanche dedicata alla celebrazione dell’eucarestia. Piuttosto è utilizzata come deposito delle opere della Diocesi ed è un vero peccato, perché custodisce un tesoro scientifico. Si tratta di una delle due uniche meridiane a camera oscura (ossia da interno) delle Marche, un patrimonio difficile da scoprire e impossibile da visitare.
Risalendo via Saffi e fermandosi di fronte alla facoltà di Economia della Carlo Bo, si trova la chiesa di San Paolo, ormai sconsacrata e diventata sede di un restauratore. Il percorso volto alla ricerca delle chiese chiuse della città ha come tappa successiva Porta Lavagine, da cui inizia via Cesare Battisti che arriva fino a Piazza della Repubblica. Lavagine è una delle quattro porte incastonate nelle mura della città, ma è l’unica ad avere una chiesa appollaiata sulla sua struttura. É Santa Maria degli Angeli, un edificio a unica aula semplice e delicato, che ospita un dipinto della Madonna del latte. Da Lavagine, passando per una delle traverse di via Cesare Battisti che sboccano in via Nuova, si raggiunge via Budassi, dove si trova la chiesa di Santa Maria della Torre. Un arcobaleno di colori provenienti dalle vetrate che decoravano il portale del ‘500. Furono realizzate da Timoteo Viti e oggi accendono le stanze del Palazzo Ducale. Nel frattempo la chiesa delle Agostiniane continua a ospitare opere di pittori epigoni e allievi di Federico Barocci.
Prossima tappa: la chiesa di San Bartolomeo, o San Bartolo, presso il baluardo sporgente dalle mura roveresche. Questa chiesa del XIV secolo ospitava il grande trittico raffigurante la Madonna del latte e alcuni episodi della vita di San Bartolomeo, che fu forse realizzato da Antonio Alberti da Ferrara. Proseguire verso la fine di questo viaggio vuol dire arrivare a via Raffaello, nella chiesa di San Sergio e in quella dell’Annunziata. San Sergio, oggi caratterizzata da un’iconostasi bizantina, è stata la prima cattedrale di Urbino, e da alcuni anni ogni domenica mattina vi sono celebrate messe ortodosse. La chiesa dell’Annunziata, invece, passò dalla congregazione dei Servi di Maria a quella dei Carmelitani scalzi e fu ristrutturata nel XVII secolo da Giovan Battista Bartoli. Aperta saltuariamente, custodiva la pala d’altare di Raffaellino del Colle, raffigurante la Madonna del soccorso e oggi esposta al Palazzo Ducale.
Questo percorso verosimile sta per diventare realtà. Il primo fine settimana di giugno il Comune di Urbino organizzerà quattro percorsi tematici per risvegliare 20 chiese del centro storico. È una conquista soprattutto per quelle chiese dalle “erbose soglie” che saranno riaperte al pubblico. Il circuito cercherà di riproporre l’iconografia delle principali opere conservate, dando vita a fiori e strumenti musicali presenti nelle tele.