URBINO – Perché l’ennesimo festival? E perché un festival proprio con questo filo conduttore? Rispondendo a questi interrogativi, Lella Mazzoli (direttore del dipartimento di Scienze della comunicazione della Carlo Bo) e Giorgio Zanchini (giornalista di Radiorai) hanno presentato la prima edizione del Festival del giornalismo culturale.
Un giornalismo che, soprattutto in Italia, “è stato capace di offrire un costante sguardo all’attualità – ha sottolineato Zanchini – e di trasferire sulla carta le grandi trasformazioni del concetto di cultura”. Perché il filo rosso di questa manifestazione, che oggi si districa tra le stanze e cucine del Palazzo Ducale, è l’eterogeneità della cultura, come conseguenza di continui cambiamenti sociali. “Viviamo in un contesto plurale – ha affermato Lella Mazzoli – in una moltiplicazione di eventi e di sfaccettature, quindi non possiamo dare un’unica lettura della società e tantomeno della cultura”.
Ma il nostro contesto sociale un colore predominante ce l’ha, ed è quello dell’immagine e della rete. Alla crescente importanza di questo aspetto il festival di Urbino vuole dare una risposta, perché la cultura è “un’esperienza sempre più connessa e partecipata in rete”. Un’esperienza che genera contraddizioni, ma solo in apparenza, perché in un universo sempre più social la verità tende a frammentarsi.
Lella Mazzoli cita l’esempio del dibattito tra Marino Sinibaldi e Giuseppe Laterza. Il primo afferma che questi festival non aumentano le vendite dei libri e che le persone preferiscono ascoltare le parole di uno scrittore piuttosto che leggerle in un libro; il secondo che lo scopo primario dei festival non è vendere, ma piuttosto garantire una dimensione di coesione sociale e identificazione collettiva. “La cultura è tutto, dai libri alla cucina, e anche nel giornalismo culturale deve esserci contraddizione”. Con queste affermazioni Zanchini ha lasciato la parola alla chitarra della giovane Irene Placci e chiuso il prologo di questo primo festival del giornalismo culturale.