URBINO. Aziende che chiudono, posti di lavoro che vanno in fumo. I dati della Cna dicono che la Valle del Metauro negli ultimi quattro anni ha pagato un prezzo alto alla crisi. Ma qualche segnale di speranza c’è. E arriva da due aziende che non solo hanno resistito, ma possono anche vantare bilanci in attivo. Una è nata dalle ceneri di un fallimento e ha usato l’esperienza nella produzione dei jeans per fare qualcosa di nuovo. E soprattutto competitivo. L’altra è cresciuta grazie alla scommessa di un gruppo di operai che si è messo in proprio.
Dal 2008 a oggi sono 76 le imprese che hanno chiuso i battenti, quasi una su dieci, lasciando a casa più di 600 persone impiegate fino a ieri nell’edilizia e soprattutto nel tessile. Quella che una volta era la “valle del jeans” assomiglia sempre più a una valle di lacrime svuotata dalla delocalizzazione che porta il lavoro dove costa meno, come in Marocco o in Cina.
Impossibile competere in un’economia globalizzata facendo le stesse cose di sempre. Ma se c’è una cosa su cui in Italia siamo imbattibili sono le idee, il design, la capacità di reinventarsi una vita nuova. Lo dimostra la storia di Andrea Sassi, costretto a chiudere nel 2008 l’azienda tessile di famiglia a Sant’Angelo in Vado. Poco più che trentenne, non ha mollato e si è lanciato nella progettazione e distribuzione di abbigliamento per motociclisti. La sua esperienza nel settore del jeans non è andata persa, anzi, è diventata il punto di partenza per creare prodotti innovativi. La Pro Mo Jeans oggi usa la tela ruvida non per realizzare semplici pantaloni, ma per creare abiti da motociclisti capaci di attutire le cadute.
Dagli stabilimenti di Sant’Angelo in Vado escono pantaloni anti abrasione dotati di tasche in cui inserire le protezioni per le ginocchia, giacche jeans con imbottiture capaci di proteggere le spalle. “La moto è sempre stata una mia grande passione – racconta Sassi – ed è così che mi è venuta l’idea di creare una linea di abbigliamento pensata per chi ama le due ruote. Oggi abbiamo messo in piedi una rete di 120 negozi e possiamo esportare in svariati paese esteri, dove già provano a copiarci in tutti i modi, ma i nostri clienti riconoscono la qualità del made in Italy”.
La ProMo jeans è un piccolo argine all’emorragia di manodopera specializzata in questo territorio: ”Ci serviamo di una serie di fornitori del posto – aggiunge Sassi – Una volta l’azienda della mia famiglia dava lavoro a circa 35 persone e produceva direttamente: oggi abbiamo un indotto più ampio e possiamo dedicarci a progettare e migliorare la distribuzione in tutto il mondo”.
“Viviamo in una zona tra le più ricche di imprese in Italia – dice Massimo Galli, responsabile Cna dell’ambito territoriale di Urbino – Per quanto un collegamento stradale più affidabile tra l’Adriatico e il Tirreno potrebbe aiutare tutti a uscire da un parziale isolamento col resto del paese e un po’ dalla crisi”. Nell’attesa, ormai pluridecennale, che la Fano-Grosseto veda la luce, chi resiste, e ancor di più chi nasce ora, deve imparare dall’esperienza di chi negli ultimi vent’anni ha tenuto botta alle bordate della crisi.
È il caso degli otto ex dipendenti della Benelli armi che hanno dato vita alla Pcm nel 1987 e alla EuroProMec nel 1999 , producendo a Fermignano componentistica meccanica anche per l’azienda da cui si sono licenziati: “Poco più che trentenni dovevamo scegliere se ricollocarci i fabbrica con mansioni meno stimolanti e sicure o diventare padroni di noi stessi, e lo abbiamo fatto – racconta Paolo Baciardi – Oggi diamo lavoro a circa 45 collaboratori, tutti con la stessa età che avevamo noi quando siamo partiti e se lo Stato non fosse così vorace di risorse, ci piacerebbe accogliere tanti altri ragazzi che hanno anche bisogno di formarsi lavorando”.