URBINO – Culla del Rinascimento, patria di Raffaello, capitale artistica e culturale. Ma nelle aule e nei centri di ricerca di un’università vecchia di 500 anni, è lo sport a far eccellere Urbino a livello nazionale. Sarà che le salite e le discese del centro storico tengono in allenamento i polmoni degli urbinati, ma la Carlo Bo è ai primi posti in Italia proprio per quanto riguarda l’attività motoria e la prevenzione della salute.
Secondo le classifiche stilate dal Censis nel 2012, la facoltà di scienze motorie di Urbino – che dovrebbe chiamarsi “scuola” dopo la riforma Gelmini – è la terza in Italia su un totale di trentadue. Nel 2011 era al secondo posto, e nel 2010 al quinto. I criteri di posizionamento si basano, ad esempio, sui tassi di regolarità dei laureati, sulla qualità degli insegnamenti, sui progetti di ricerca e sulle opportunità internazionali.
Anche la ex-facoltà di sociologia, ora ripartita in due diversi dipartimenti, è stata sul podio del Censis negli ultimi anni. Il dato però è meno significativo perché compete con un totale di quattro o cinque facoltà. “Al terzo posto in Italia? Non lo sapevo – ammette Bernardo Valli, ex preside di sociologia – e comunque ormai la facoltà è stata sotterrata”.
Vilberto Stocchi invece, preside di scienze motorie, sa bene di gareggiare per il primato italiano, e le graduatorie del Censis se le ricorda a memoria: “Per quanto riguarda la ricerca abbiamo il massimo dei punti: più della facoltà di Roma, che nel totale è la prima in classifica”. E’ consapevole anche di guidare una facoltà giovane: lui stesso, racconta, era in quella commissione di Berlinguer che diede vita alla laurea in scienze motorie come evoluzione del diploma Isef (Istituto superiore di educazione fisica). La transizione è durata dal 1999 al 2001, e meno di quindici anni sono bastati per fare dell’università di Urbino un modello esemplare nello studio dell’attività sportiva e della prevenzione.
“Abbiamo scelto di caratterizzarci per la ricerca – spiega il professor Stocchi – perché è quella che ci dà la conoscenza necessaria a migliorare la didattica”. E così l’Istituto di ricerca sull’attività motoria, nascosto in località Sasso, cela macchinari per oltre 6 milioni di euro. E per quanto riguarda le opportunità internazionali, altro criterio in cui ottiene ottimi voti dal Censis, la facoltà vanta contatti con dodici università sparse in tutta Europa: per l’anno prossimo sono in partenza 25 ragazzi.
Ma al di là dei sorrisi stampati sui depliant informativi, non mancano opinioni discordanti. Marco Torresi, di 29 anni, ha fatto la triennale e la specialistica in scienze motorie a Urbino e oggi dirige un centro di attività motoria chinesiologica e posturale a Jesi, in provincia di Ancona. “Se sono arrivato fin qui – spiega Marco – non è grazie alla laurea. Trovare lavoretti occasionali è semplice, ma se vuoi una professione riconosciuta devi fare altri corsi, altrimenti sulla carta non sei nessuno”. Un problema italiano, non solo di Urbino, che Stocchi ha a cuore: come presidente della Conferenza nazionale dei presidi di scienze motorie, e membro della Commissione in sport e salute del Ministero della salute, insiste da anni per il riconoscimento del laureato in scienze motorie, ad esempio, nella riabilitazione fisica dei pazienti dopo l’intervento del fisioterapista. Per lo sport, invece, ha firmato convenzioni con oltre 200 federazioni per permettere ai suoi studenti di acquisire brevetti a prezzi bassi.
Per chi sta ancora studiando, i problemi solo altri. Isabella Colella, rappresentante degli studenti della facoltà, è al primo anno di specialistica e si lamenta soprattutto degli spazi: le segreterie e la sede didattica sono in due parti diverse della città, d’inverno non è il massimo fare sport nei palloni, e le aule non sono sufficienti per 720 iscritti. Anche Marco, che a suo tempo studiava con “solo” altri 250 ragazzi, ricorda che a volte doveva andare ad ascoltare la lezione al cinema Ducale.
Eppure sembra che nel giro di qualche anno dovrebbe risolversi tutto: c’è chi promette in due anni di riunire la segreteria alle aule e chi di rimettere il numero chiuso. Isabella stessa ammette che l’organizzazione dell’attività sportiva e dei tirocini è ottima perché si inizia subito a fare pratica, fin dal primo anno. E per quanto riguarda gli spazi, è vero che le attrezzature migliori sono destinate all’uso esclusivo dei ricercatori, ma tra aule e palloni gli studenti possono contare su sette palestre attrezzate, e hanno pur sempre la piscina migliore della città.
Rimane da chiedersi se sia possibile esportare questo modello di eccellenza alle altre facoltà della Carlo Bo. Il rettore Stefano Pivato rimane vago: “Sono tanti i fattori che incidono sulle graduatorie del Censis. E’ inevitabile che i risultati siano diversi, ma i motivi sono molteplici”. Stocchi invece al proprio risultato ci tiene: “La credibilità si acquista con le competenze”, ci dice. E in questo caso, scalare la classifica non è solo uno sport.