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Ricercatrici precarie in cattedra alla “Corte di Battista”

Elisa Montironi, ricercatrice ‘precaria’

URBINO – Hanno intorno ai 30 anni, sono ricercatrici con contratti che durano, se va bene, per un anno e parlare di futuro per loro è quasi un’utopia. Sono per la maggior parte del tempo nei loro laboratori ma da giovedì 6 giugno, alla Sala del Maniscalco a Urbino, saliranno in cattedra e saranno le ‘duchesse’ protagoniste “alla corte di Battista“.

Quattro tavole rotonde durante i quali sei ricercatrici ‘precarie’ dell’Università di Urbino presenteranno al pubblico le loro attività e i loro lavori riguardo a temi di attualità. “Il nostro obiettivo è quello di dare visibilità alle ragazze – spiega la professoressa Laura Chiarantini, delegato per il Rettore alle Pari Opportunità e organizzatrice dell’evento – cercando anche di abbinare tematiche diverse apparentemente distanti ma che mirano a sviluppare il dibattito, anche con i non addetti ai lavori”.

La situazione attuale, spiega Sara Biagiotti, una delle protagoniste degli incontri, è “una giungla, ma nostante i pochi mezzi, le risorse quasi a zero e le poche prospettive future di vita o di carriera, a spingerci resta sempre la passione, la voglia di realizzare i nostri sogni, la testa ma soprattutto il cuore”.  Sara ha 31 anni e da sette è una ricercatrice ‘precaria’ nel Dipartimento di Scienze biomolecolari con una borsa di studio a progetto ottenuta dopo il dottorato. Avrebbe dovuto ricevere, come da consuetudine,  un assegno di ricerca più dignitoso in termini economici ma, a causa della scarsità di fondi, ne sono concessi solo 10 all’anno. Lei , come la maggior parte degli altri 131 ricercatori all’università, dei quali 47% sono donne, ha un futuro precario e spesso neanche tutti i contributi pagati.

Il primo incontro inizierà alle 21 e avrà come tema la ‘Migrazione di donne e uomini e dei loro saperi’ e a intervenire saranno docenti e le ricercatrici Athanasia Andriopoulou ed Elisa Montironi.

Athanasia ha 35 anni, è venuta in Italia dalla Grecia 15 anni fa per studiare e dopo un master a Roma e un dottorato a Genova ora è una ‘contrattista‘, ovvero ha un contratto di ricerca a tempo determinato, rinnovato ogni tre, sei mesi o un anno. “Le difficoltà sono le stesse per tutti i precari, ma essere donna rende tutto più complicato: la natura stessa della nostra femminilità viene messa in secondo piano per la carriera e con essa tutte le esigenze naturali, biologiche, come avere dei figli – spiega la dottoressa Andriopoulou –  pensare di avere un figlio per me sarebbe un suicidio perché non sarei in grado di mantenerci con continuità”.

“Il morbo della precarietà è quello di precludere i giovani ad avere un futuro – sostiene Elisa Montironi, 30 anni, ricercatrice contrattista per un anno alla Scuola di lingue e mamma di un bambino di quasi tre anni – ma lo sbaglio è anche quello di pensare alla famiglia come un peso, in realtà il lato umano è molto importante  per la realizzazione della persona sia a livello sociale che professionale”.

Elisa dice di essere fortunata perché riesce ad andare avanti grazie al lavoro del marito e al sostegno della famiglia: “Capisco che per due ricercatori sarebbe impossibile avere una famiglia, ma mio figlio, quando lo guardo, mi ricorda ogni giorno che devo essere responsabile per il nostro futuro e quello della collettività, lui mi spinge a fare di più, a fare bene il mio lavoro e a cercare di essere il più possibile utile alla società”.

Nei giovedi successivi, il 13, il 20 e il 27 giugno, ci saranno gli altri incontri/dibattiti sui temi quali farmacologia e bioetica (interverrano Sara Biagiotti e Monia Andreani) , i ruoli delle donne come imprenditrici e accademiche (tenuti da Annalisa Sentuti e Angela Genova) e per concludere una relazione sulla natura, amica o matrigna, con una fisica terrestre, Gabriella Ruggieri, del Dipartimento di Scienze di base e fondamenti, e la psicologa Grazia Maria de Rugeriis.

“La situazione è critica, e non solo in Italia – continua la dottoressa Montironi –  non ci sono i fondi e quindi non c’è la possibilità di ragionare al futuro perché sarebbe demotivante ma gioiamo delle piccole mete quotidiane: sentire di essere utili ci aiuta ad andare avanti”.

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