URBINO – “Sono in cassa integrazione in deroga da tre anni. Non ne posso più”. Giovanni, 48 anni, ha iniziato a lavorare nel cantiere navale di Fano quando era un ragazzo. Una vita passata a rivestire di resina gli yacht, a costruire barche. Ogni mattina partiva da Urbino e tornava la sera da sua moglie e sua figlia. Fino al 2011, quando il cantiere entra in crisi e mette tutti i suoi 180 dipendenti in cassa integrazione in deroga. Per Giovanni e la sua famiglia significa ridimensionare le spese, rinunciare alla pizza il sabato sera, alla vacanza di Ferragosto. Tutto sommato un sacrificio accettabile. L’importante è avere ancora un lavoro, si ripete Giovanni.
Poi, a gennaio 2013 la situazione peggiora: a lui e a tutti i suoi colleghi viene fatto un contratto di solidarietà, metà stipendio lo paga l’azienda in base alle ore effettive di lavoro e l’altra metà l’Inps. Peccato però che l’Istituto nazionale di previdenza sociale di soldi non ne ha più e Giovanni e la sua famiglia si ritrovano a vivere con 400 euro al mese. “E’ da luglio che facciamo questa vita. Ormai mi chiamano per lavorare solo 10 giorni al mese”, racconta Giovanni. “Trascorro le mie giornate a casa, non posso neanche trovare un altro posto di lavoro. Trovare un impiego per uno della mia età e nelle mie condizioni è quasi impossibile. Mia moglie fino a qualche tempo fa faceva la pizzaiola in un locale vicino ad Urbino, ma è stata licenziata”, continua Giovanni.
“Ormai è da un anno e mezzo che non possiamo più pagare l’affitto di casa”, afferma con amarezza. “Mia figlia ha 11 anni, capisce la situazione in cui ci troviamo ma è sempre difficile dirle che non ci sono i soldi per il corso di pattinaggio o per la cena con le amichette. Quest’anno non so con quali soldi farle il regalo di Natale”.
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E’ arrabbiato Giovanni quando racconta la sua storia di cassa integrato in deroga: “A questi politici, a questa classe dirigente, io non chiedo più nulla. Dopo quasi tre anni di rinunce e sacrifici, ora pretendo che qualcosa cambi”. Per questo ha aderito alla protesta: insieme ad altri disoccupati e a giovani precari è sceso in piazza a Urbino per far sentire la sua voce. Hanno piantato due stand e appeso uno striscione “Non ci rappresentate più. Basta”. Giovanni e tutti gli altri non si rassegnano anche se di promesse e di slogan prima delle elezioni e poi subito dimenticati, ne hanno sentiti tanti.
“E’ difficile conservare la speranza. Per ora la nostra azienda ci ha detto che anche nel 2014 resteremo in cantiere, ma la paura di essere licenziati, di perdere quei pochi soldi che ci danno al mese c’è e non posso nasconderla. Non immagino il mio futuro: so che se le cose non migliorano, io e la mia famiglia non avremo un domani” – dice Giovanni- “Quello che mi manca di più non sono le cose materiali. Di quelle posso fare a meno. Ciò che fa più male è la sensazione di aver perso un po’ della mia dignità. Passo i giorni davanti al computer, a guardare la televisione e aspetto quei dieci giorni al mese in cui torno ad essere una persona normale, un lavoratore come lo ero qualche anno fa. Nessuno dovrebbe vivere così”.