URBINO – Brevità, chiarezza, passione e generosità. Sono le virtù che un buon giornalista culturale deve avere, combattendo sempre l’oscurità, l’arroganza e la vanità. “L’arroganza è un pericolo. Se il pubblico non capisce la colpa è nostra. Dobbiamo appassionare”. Beppe Severgnini, giornalista del Corriere della Sera e saggista, che ha tenuto la lectio magistralis di apertura del festival del giornalismo culturale di Urbino. “Non una lectio magistralis, al massimo una lectio, non sono un maestro o un insegnante – ha però precisato Severgnini – anzi, ancora meglio, un ragionamento pubblico”. Un ragionamento che si è concentrato sulla nuova narrativa, in cui “tutti sono protagonisti dei propri racconti tramite i social network e i nuovi media. Siamo noi stessi gli avversari del giornalismo culturale. O riusciamo a trovare qualcosa di altrettanto interessante della vita delle persone o altrimenti abbiamo perso”, spiega ancora Severgnini.
L’editorialista del Corriere ha parlato anche del suo ruolo: “Io non sono un giornalista culturale, ma mi occupo di questi temi, forse per questo leggo un libro con passione, perché poi non devo fare recensioni – racconta Severgnini – io sono uno sconfinatore professionale, qualunque cosa mi dicano di fare io decido di andare oltre”.
Nel pomeriggio Severgnini ha anche presentato il suo ultimo libro a Urbino La vita è un viaggio, nel quale elenca venti parole chiave. Di queste Severgnini ne ha citate alcune, secondo lui fondamentali per il giornalismo culturale e per le nuove generazioni – sempre al centro del suo discorso – nel suo intervento al festival: ispirazione, incoraggiamento e paura. Proprio la paura, secondo Severgnini, è fondamentale per i giovani: “Chi non ha paura, non parte mai. La paura è benedetta. Se li difendiamo troppo dalla paura commettiamo un errore gravissimo, confonderanno il porto per il mare”.
I ragazzi sono spesso al centro del ragionamento di Severgnini: “Gli insegnanti devono diventare un punto di riferimento e di incoraggiamento. Va fatto con gli strumenti della cultura ma non solo. Come dicono gli americani, la gente ha bisogno di essere incoraggiata. Non puoi soltanto dare ordini e bisogna pagare i ragazzi che lavorano”.
Altro capitolo affrontato dall’editorialista del Corriere della Sera è quello dei social network: “Twitter è un decespugliatore mentale, un filo intermentale. Bisogna passarlo poco, come il filo interdentale che usi solo una volta la sera, ma con quel poco si puliscono ‘i dentini del cervello’. Certo, se ci si limita a questo mancherà altro, ma è comunque utile come strumento, serve anche per mettersi al centro della narrazione”.
L’ultimo riferimento del suo discorso Severgnini lo dedica ancora alla narrazione, questa volta quella collettiva: “I cinesi e gli indiani sono felici non perché vivono meglio di noi, ma perché sanno che i figli staranno meglio di noi. In Italia questa narrazione si è interrotta, noi non sappiamo se i nostri figli staranno meglio di noi”.