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Quando lo scienziato fa il giornalista. Divulgazione e disintermediazione

di    -    Pubblicato il 18/04/2015                 
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Massimo Russo, direttore di Wired Italia

Massimo Russo, direttore di Wired Italia

PERUGIA –  Acqua su Marte, l’ultimo pianeta extrasolare che potrebbe ospitare qualche forma di vita oppure il primo atterraggio di un robot su una cometa a milioni di chilometri di distanza dalla Terra. Breaking news da “prima pagina”, anticipate dai titoli sui siti della Nasa o dell’Esa e dai tweet degli stessi ‘protagonisti’ sui social network, come il robottino Philae, la sonda Rosetta o il rover Curiosity. Oggi la scrittura di chi fa scienza si è appropriata di un taglio giornalistico. Sono gli scienziati in prima persona a scrivere su siti internet articoli divulgativi spesso molto chiari e di grande efficacia comunicativa. Inoltre questi siti spesso sono delle vere e proprie testate registrate. Ma la figura del giornalista così rischia davvero di diventare sempre meno incisiva su questi temi?

“Anche le grandi aziende ormai sono in grado di cortocircuitare i meccanismi tradizionali delle testate attraverso i contenuti dei loro siti internet” ha detto Massimo Russo, direttore della rivista Wired Italia, che ieri al teatro Morlacchi ha partecipato a uno dei panel più attesi del festival del giornalismo internazionale , Le vie dell’innovazione tra scienza cultura e impresa. Insieme al giornalista: Alessandro Baricco, romanziere e fondatore della scuola di scrittura Holden, Diego Piacentini di Amazon, e Andrea Accomazzo, responsabile delle operazioni della missione Rosetta dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea.

“Penso che sia indispensabile che questi due canali divulgativi lavorino in parallelo – ha detto Accomazzo – l’uno non esclude l’altro”. Secondo lo scienziato non è indispensabile che a scrivere temi scientifici siano giornalisti specializzati. “Mi è capitato di rilasciare un’intervista con un giornalista che non era molto ferrato nel campo scientifico, eppure ha pubblicato un articolo bellissimo che aveva in sé sia aspetti tecnici che aspetti emozionali”. Il coinvolgimento emotivo è uno dei punti fondamentali di questo nuovo modo di divulgare informazioni scientifiche e per questo sono indispensabili i social network. Questi nuovi mezzi di comunicazione creano un contatto diretto con il lettore; proprio per questo sono stati creati account Facebook per la sonda spaziale Rosetta e per Philae che comunicano anche tra di loro, creando situazioni spesso ironiche che coinvolgono i lettori.

Secondo Russo “gli organismi scientifici come l’ INAF e l’ ESA hanno siti fatti molto bene. Inoltre hanno anche una forte presenza sui social network”. Anche Russo ha tenuto a sottolineare l’importanza dell’effetto che si crea attraverso questi mezzi. Grazie a questi canali si crea “un’informazione emozionante che crea una storia vera e propria, cosa che non si riesce a fare con l’informazione fredda e secca con cui si trattano i temi scientifici”. Aggiunge: “Secondo me tutto questo è molto positivo, soprattutto in Italia”. Sostiene infatti che nel nostro Paese ci sono difficoltà a raccontare fatti scientifici soprattutto da parte dei media tradizionali. “La scienza arriva ai media tradizionali solo in momenti particolari e soprattutto in casi drammatici, come quello di Stamina. Ci sono però dei giacimenti di sapere scientifico che hanno poca eco; basti pensare a Samantha Cristoforetti che ormai è diventata quasi una ‘pop-star’, eppure noi di tutte le ricerche che fa l’Esa non sappiamo molto”.

Inoltre, secondo Russo, bisogna considerare che quando questi contenuti gravitano nei media tradizionali vengono a volte realizzati servizi caricaturali, come nel caso del Tg4 in occasione dell’accometaggio di Rosetta. “Questo – sottolinea – spesso è un lavoro di vera e propria disinformazione, basti pensare a trasmissioni come le Iene che rispetto a temi come Stamina fanno la glorificazione di personaggi come Vannoni senza andare a vedere se effettivamente ci siano riscontri da parte della comunità scientifica sulla efficacia del metodo. Questo non fa altro che allontanare dalla scienza da una parte, e dall’altra parte non dà modo alle notizie vere di emergere”.

Quindi se gli istituti scientifici cominciano a comunicare e lo fanno in maniera efficace e diretta va bene così. “È bene mantenere entrambe le strade perché è finita l’epoca del racconto giornalistico in senso stretto; ci sono nuovi metodi e tutto ciò fa bene. Quel tempo è finito, la realtà contemporanea è totalmente diversa, è tempo di muoversi. Il giornalismo deve essere contemporaneo”.

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