FANO – “Trovo che la televisione sia molto educativa. Ogni volta che qualcuno l’accende, vado in un’altra stanza a leggere un libro”. È una delle freddure più celebri di Groucho Marx, e durante il panel “Dov’è la cultura oggi: la televisione” che oggi ha animato il Teatro della Fortuna di Fano, nell’ambito della terza giornata del Festival del giornalismo Culturale 2015, si è cercato di capire quanto la tv italiana sia effettivamente educativa e dove e come la cultura viene trasmessa.
Vittorio Di Trapani, oltre ad essere segretario generale dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, è prima ancora un giornalista lui stesso. Gli abbiamo chiesto quale compito assolve la cultura nel servizio pubblico.
Inizia la terza giornata del Festival del giornalismo culturale 2015
“La cultura deve educare, deve servire a creare spirito critico. In tv non può essere intesa come un prodotto specifico, un prodotto a parte, relegato a programmi ad hoc. Tutti i prodotti devono avere funzione culturale, devono sviluppare lo spirito critico degli spettatori. Che non sono dei consumatori, almeno per il servizio pubblico, ma dei cittadini. Deve contribuire alla maturazione della democrazia e alla crescita culturale del Paese. Non per forza tramite trasmissioni dedicate, ma a partire dai telegiornali, dai grandi programmi di prima serata. Per arrivare alle nicchie delle reti secondarie”.
Sempre meno, ma la cultura passa anche per i telegiornali. È da un pezzo che si parla della riforma dei sistemi di informazione del servizio pubblico. Alla fine cambieranno davvero i telegiornali Rai?
“Cambieranno eccome. Il Consiglio di amministrazione ha approvato un progetto su proposta del direttore generale basato su due newsroom, che inglobino Tg1 e Tg2 la prima, Tg3, TgR e Rainews la seconda. L’Usigrai ha proposto un proprio progetto di riforma che si chiama Rai Più, basato su un newsgathering unico, con una struttura unica di produzione. Questa proposta è stata sottoposta al voto di tutte le giornaliste e i giornalisti della Rai, che con un referendum si sono detti favorevoli alla nostra proposta. Ora ci sarà un confronto con l’azienda sulla nostra proposta di riforma, e siamo convinti che questa sia di maggior sviluppo per l’azienda. Specie su tre punti fondamentali: l’informazione di rete deve tornare sotto la titolarità dei telegiornali; lo sviluppo del web e della crossmedialità; la presenza sui territori, ovvero la copertura di tutti i territori in ogni singola regione ma anche la copertura all’estero, giacché il servizio pubblico deve raccontarlo meglio, e per farlo deve essere più presente nelle realtà internazionali”.
La proposta di Gubitosi non rischia di limitare il pluralismo dell’informazione?
“Ma a noi la proposta Gubitosi non piace perchè è una operazione meramente contabile, che non parte dal prodotto, quindi senza una idea di rilancio e sviluppo della Rai Servizio Pubblico. Il problema della sua proposta non è la riduzione del numero delle testate, ma l’obiettivo di ridurre l’informazione, il rischio grave di tagli che colpiscano la qualità del prodotto e non i veri sprechi. Poi dobbiamo intenderci su che cos’è il pluralismo. Non può e non deve essere una somma di parzialità. Anche la nostra proposta allora andrebbe a limitarlo, il pluralismo, con un newsgathering unico e con un unico direttore delle news. Deve essere pluralismo di racconto, di format, di linguaggi. Oggi pluralismo è raccontare tutte le diverse sfaccettature di una realtà. Immaginare che sia quello di 30 anni fa, per cui la Rai era tenuta a fare un tg democristiano, uno socialista e uno comunista è un residuato del secolo scorso. Oggi dobbiamo partire dal prodotto, che deve essere più ricco e più adatto al pubblico che cambia. Così da fare servizio pubblico proprio nella logica di capire qual è l’esigenza del nostro pubblico e rispondere a quell’esigenza”.
Da giornalista Rai, mi dà un esempio di giornalismo culturale da cui è rimasto favorevolmente colpito, di recente?
“Fare esempi è sempre difficile. Fare cultura significa scavare e andare in profondità. È tutto ciò che va a svelare i perché dei fatti che accadono, tutto ciò che racconta storie. Servendomi di un’espressione di Papa Francesco, fare cultura significa ‘andare a illuminare le periferie’. Quelle geografiche, quelle sociali, quelle economiche. Tutto ciò che non viene abbastanza raccontato: tutto ciò che è buio e il servizio pubblico illumina”.
Ma l’esempio non me l’ha dato.
“E allora, visto che insisti, te ne faccio due, di esempi: le inchieste fatte di recente per trovare finalmente, dopo 20 anni, la verità sull’omicidio di Ilaria Alpi e di Milan Hrovatin. E anche La neve la prima volta, il reportage di Valerio Cataldi realizzato per Tg2 Dossier con il patrocinio dell’UNHCR che racconta la storia di quattro migranti sopravvissuti al naufragio sulle coste di Lampedusa il 3 ottobre scorso”.
Versione modificata in data 26/04/2015, ore 10.00