Cinquecento vite, una sola voce: “All you need is love”
di Daniela Larocca e Rita Rapisardi
Di Urbino 2 si è parlato molto e male, ma poco è stato detto delle storie di vita, ognuna diversa, delle tante persone che sono lì. Nel 2011 la speranza di un intervento istituzionale tramite il piano di riqualificazione voluto dalla Regione, che avrebbe dovuto trasformalo in quartiere “normale”. Il progetto però si è incagliato più volte: i privati si ritirano e i fondi per intervenire sono dimezzati. Ma come recuperare il quartiere alla città resta affidato alla speranza di “un interessamento dei privati”. Si vedrà quale imprenditore vorrà impegnare il suo capitale in un quartiere dove l’aria puzza di truciolato incenerito per riscaldarsi e le case sono sfitte o vanno invendute alle aste giudiziarie a prezzo ribassato. Intanto, però, cinquecento persone continuano a vivere a pochi chilometri dalla “Urbino bene”. Questa è la loro voce.
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Il volto di Urbino 2: un mosaico di emozioni attraverso le immagini
Photo Mosaic By: redazioneifgurbino @ Mosaically
Sopra un’immagine collettiva delle foto scattate durante il reportage. Usando gli strumenti di zoom in basso a destra la fotografia si ingrandisce e, come in un mosaico, compaiono i tasselli che la compongono.
UN VIAGGIO LUNGO DIECI VITE
Ci sono delle mura a Urbino. Ma non sono quelle medievali del centro storico che tutti conoscono. Sorgono dentro le persone, sono le più difficili da abbattere, fatte di pregiudizi, odio e spesso paure. A dividere le due Urbino ci sono undici chilometri. Un cavalcavia che separa la città del Duca da quello che viene da tutti chiamata Urbino 2. La struttura è quadrata, ricorda un campo romano, e in effetti il quartiere era nato come campus universitario. Quattro schiere di case tutte color salmone con gli infissi verde bottiglia. Ora i muri sono a chiazze, hanno perso il loro colore vivo e da sotto emerge il grigio del cemento. Sui prati di fronte agli ingressi, le antenne una accanto all’altra spuntano come funghi. Fioriscono in mezzo ai prati, metalliche e pesanti. Legate da fili che si raggomitolano intorno ai rami degli alberi e arrivano fin dentro le case. Un uomo esce fuori, ne sistema una, la muove avanti indietro finché da dentro non gli urlano che il segnale è tornato.
Il tragitto verso Ponte Armellina è un viaggio dentro le storie di chi ci vive, oltre un ponte che unisce i sogni dei bambini e la disillusione degli adulti.
“DA GRANDE VOGLIO FARE IL CALCIATORE”
Si avvicina un bambino, in una mano un quaderno e nell’altra un borsello con le penne. Si guarda attorno, incuriosito da quattro ragazzi che giocano a pallone. Non vuole dire il suo nome ma si fa chiamare ‘Messi’, come il calciatore a cui vorrebbe assomigliare perché “sono basso come lui e vorrei avere tanti soldi”.
Messi ha 10 anni e ha seguito l’anno scorso il papà in Italia lasciando in Marocco sua madre, la sorella piccola e i suoi amici. Ora frequenta la quinta elementare a Trasanni ma la scuola non gli piace molto: “Mi prendono in giro perché parlo male l’italiano. Però sono bravo in matematica, niente parole lì”. Cammina spensierato per il quartiere quando ad un certo punto si ferma, sospira e mette le mani sulla testa, imitando un gesto che avrà visto fare ad un adulto. “Qui è tutto brutto. È tutto rotto… però mi piace pensare che i tubi delle stufe sembrano tante fabbriche”. Fuori piove e Messi non può giocare a palla con i suoi amici. Non sa come ingannare il tempo e confessa che aspetta con ansia la prossima “gita alla Coop” per poter usare il Wifi gratuito del centro commerciale. Messi ha WhatsApp, Facebook e presto avrà Twitter perché “così parlo con la mia fidanzata” confessa con un sorriso furbetto, come se avesse scoperto la porta per entrare nel mondo dei grandi. Messi e i suoi amici non possono far altro che giocare con la fantasia e immaginare momenti di svago: giocare al parco quando piove è impossibile. E poi, al parco, non ci sono giochi.
PICCOLE DONNE VORREBBERO ANDARE VIA
“Eccone una che sta sempre a lamentarsi” urlano verso una loro amica i ragazzi che giocano a pallone. “Vieni a parlare davanti la telecamera che sicuramente avrai qualcosa da dire”, insistono. Zaira, 16 anni, non se lo fa ripetere due volte, li allontana con uno spintone e si avvicina in modo deciso. Unghie rosse, molto curate, indossa un parka, cappotto molto di moda tra le ragazze della sua età. È marocchina ma veste all’occidentale perché ci tiene a precisare: “Sono nata in Italia, io!”. Con le braccia incrociate sul petto, la ragazza trattiene malamente la rabbia e confessa che “è colpa loro se tutto va a puttane”. Parla dei grandi, degli adulti che non accettano il cambiamento né sono disposti a modificare il loro modo di vedere le cose, le stesse persone per cui Zaira abbassa lo sguardo e si zittisce quando le passano vicino. “A loro non piace come mi vesto o che mi trucco. A me non importa molto…” e con un gesto della mano cambia argomento, come se scacciasse via le persone che le danno fastidio. Poi indica una scritta su un muro: “E’ colpa nostra se è tutto rovinato. Quel murales certo non l’ha fatto un italiano e nemmeno un italiano ha obbligato i miei amici a rovinarlo”. Da Ponte Armellina Zaira vuole andare via “per trovare un lavoro e vivere in un altro posto”. Alla domanda, “cosa vuoi fare da grande”, la ragazza sorride e dice:” La dentista”.
“NON LASCIARE LA MANO DI MAMMA”
È difficile incontrare donne a Ponte Armellina. Escono alle 15 per avvicinarsi allo scuolabus, prendono per mano i figli e si allontano veloci verso casa. Ad aspettare c’è anche Adeela, 26 anni, da cinque a Urbino 2, un figlio che le gira attorno. Non perde mai di vista il bambino e sconsolata ammette che “questo è un posto sbagliato per crescere”, ma non potrebbe mai permettersi un affitto e qui non lo paga. ‘Il nostro compito è occuparci della casa, qui fuori è tutto sporco, ma dentro no”. Adeela è arrivata in Italia per raggiungere il marito. Due volte a settimana fa lezione di arabo nella stanza della moschea riservata alla preghiera delle donne. Insegna la sua lingua a chi è nato in Italia. Durante la settimana lavora per una scuola elementare. “Spesso di noi non dicono la verità. In fondo io qui non mi trovo male” dice, alzando le spalle. Si vergogna un po’ per come è vestita, ha un abito lungo in pile di un rosa acceso, ci tiene a precisare: “Di solito non esco così, ma devo solo andare a fare la lezione”.
MACCHIE DI COLORE DI CHI VA VIA
Pantaloni bianchi macchiati di vernice colorata: questa è la ‘divisa’ di Samir, imbianchino di 33 anni. Ha voglia di parlare, lui è uno di quelli che ce l’ha fatta. Arrivato in Italia dal Marocco come clandestino, è stato a Urbino 2 per sedici anni. Ora vive a Montecchio, è sposato e ha due figli, uno di un anno e mezzo e l’altra di quattro. “Nel ‘98 era un paradiso. Quando sono arrivato io c’erano molti studenti italiani e di altri paesi, ora…”. Si trattiene, non vuole offendere il posto a cui è tanto legato. Samir indica le palazzine degradate e scuote la testa: perdono pezzi di intonaco, vernice, gli infissi delle finestre cadono a pezzi. “Io capisco quando un lavoro è stato fatto male, questi palazzi in fondo hanno solo trent’anni…”. L’imbianchino se n’è andato due anni fa: “Non volevo far crescere i miei figli qui”. Ma lui non si è staccato dal questo posto. Finito di lavorare passa spesso: ha amici, parenti e ricordi. Indica una porta: “Abitavo lì dove c’è il tappeto blu, ora c’è un’altra famiglia”. E i suoi occhi non nascondono la nostalgia.
FIGLIO MASCHIO, CAPO FAMIGLIA A SEDICI ANNI
Appoggiato ad una colonna, c’è Rachad, uno dei ragazzi più grandi di Urbino 2. “Sono l’unico figlio maschio. Ho due sorelle, una piccola e una di 26 anni che fa la badante notte e giorno ad un signora disabile.
Non la vedo mai”. Ma Rachad, che ha solo 16 anni, sei dei quali già passati nel mondo di Ponte Armellina, è un punto di riferimento in realtà di una ‘famiglia allargata’. La sua e quella dei bambini che giocano per le vie del quartiere. Frequenta la terza media e racconta che il suo obiettivo è “finire la scuola al più presto”. Rachad è buono con i più piccoli, li tratta come fratellini perché ricorda come sono stati i suoi primi anni in Italia
18 ANNI E IL FUTURO NELLE TRAME DI UN MAGLIONE
L’autobus 46 diretto a Pesaro si ferma lontano. Scendono due ragazzi, zaino in spalla e cappuccio per proteggersi dalla pioggia. Dalla fermata devono percorrere più di un chilometro per tornare a casa. Uno di loro, 18 anni da poco compiuti, raggiunge con passo veloce Urbino 2 e si avvicina ad un gruppo di bambini. Mohammed frequenta il Job, Centro per l’Impiego e l’Orientamento e la Formazione di Urbino, dove studia per diventare meccanico.“Non mi piace molto la teoria. Ma mi piacciono i motori e voglio trovare un lavoro. Il problema è che se fai il meccanico devi avere una tuta e io invece voglio sempre mettermi i maglioni che mia madre mi compra, anche quando lavorerò. Mi ricordano casa mia”.
ABDUL, IL CAPO TRIBU OTTIMISTA
Verso le 16 il muezzin chiama alla preghiera del pomeriggio. Gli uomini si incamminano verso la moschea, uno stanzone con dei tappeti a terra, fuori due scaffali e un cartello che invita a togliersi le scarpe. Tra di loro c’è Abdul, un uomo di mezz’età, che con il suo sorriso dolce viene considerato il custode della storia di Urbino 2, una sorta di capo tribù. Arrivato a Ponte Armellina nel ’96, l’uomo ripesca tra i suoi ricordi le immagini di un quartiere diverso: quasi trent’anni fa la sera, a orario stabilito, partivano gli annaffiatoi. Abdul ha visto cambiare tutto intorno a sè, ha visto l’altro lato del Montefeltro degradarsi e ‘sporcarsi’ di incuria e pregiudizio. Ora la pioggia colpisce un prato di buche e zolle di fango che segnano la strada verso alloggi di 35 metri quadri. Si ricorda di tempi in cui: “prima ti chiamavano per lavorare e se qualcosa non andava bene ti aumentavano anche lo stipendio. Ora di lavoro non ce n’è”, ma l’ipotesi di andar via non esiste: “Dove vado con tre figli che vanno a scuola? Se non avessi loro c’avrei provato. Ma io rimango qui perché l’Italia è bella e noi ce ne sentiamo parte”.
IL MACEDONE IN VIAGGIO, SEMPRE LONTANO DA CASA
Dimitar il macedone ha un sigaretta accesa tra le dita e guarda salire il fumo in alto dove si confonde con la pioggia. Quarant’anni, occhi chiari, mani segnate dal lavoro. È arrivato in Italia nel ’96, “quando si stava bene e il lavoro si trovava”. Ma non tornerebbe indietro: ‘Da me si sta anche peggio’. Vorrebbe muoversi ma non può, non è cittadino europeo. Ha girato l’Italia facendo l’autista, ma anche lui da tre mesi non lavora. “Sono stato anche un anno in Svizzera – dice, prendendo frettolosamente il permesso di soggiorno per mostrarlo – ero in regola. Lì si che si sta bene, ma non vogliono stranieri”. Ai suoi due figli, 17 e 21 anni, entrambi senza lavoro, Dimitar consiglia di fare quello che ha fatto lui, questa volta lasciando però l’Italia: “I giovani devono scappare finché possono, non ha senso rimanere qui a fare i bamboccioni, come ha detto quel politico… meglio andare in Germania, lì c’è la Merkel che da il lavoro’’.
IL DOPOSCUOLA MODERNO DI URBINO 2
Streghe, case colorate e uomini sconosciuti. “A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar..”. Peccato che non sia l’inizio di una favola ma il racconto di Urbino 2 attraverso i disegni dei bambini, raccolti da Daniela e Stefano, 28 e 23 anni, educatori del progetto ‘Bus-con-tatto’ che due volte a settimana, organizzano attività e giochi.
Il tema dei disegni non è semplice: ‘Come vedi Ponte Armellina’ e ‘Come la vorresti’. I più piccoli non hanno problemi nel disegnare entrambe le cose, creare con la fantasia un mondo diverso da quello che vedono.
Nel disegno di un bambino di 6 anni, la strada collega il cielo alla terra dove da un lato c’è la casa di una strega cattiva, dall’altra la casa di Silvano. Ma esiste un Silvano a Urbino 2? Il bambino alza le spalle: “ E’ l’uomo che protegge ponte Armellina”. Magari Silvano esiste davvero, o forse no. Magari solo gli adulti non riescono a vederlo.
La cosa è più difficile per i ragazzi più grandi, gli adolescenti, che non hanno voglia di domandarsi cosa si può fare per quel luogo, che impastano colore e disillusione mentre disegnano il quartiere dei loro sogni. “Tanto, non si può fare molto qui”.
Daniela vorrebbe fare una mostra con i disegni dei bambini a Urbino 2: “Portiamo qui la gente e gli facciamo vedere che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Dobbiamo togliere il pregiudizio dalla testa dei grandi e dei bambini. Una volta un ragazzo di undici anni mi ha chiesto se avessi paura di stare qui ma io ci sto benissimo”. Anche Stefano annuisce deciso: “Io lascio i miei problemi fuori di qui”.
In questo ‘doposcuola moderno’ tutti si fiondano sul calcio balilla, ascoltano musica dai cellulari: a una traccia pop se ne alterna una marocchina. “Se sei un educatore – racconta Stefano – non crei semplicemente un rapporto con loro. Devi fare di più, conoscere la loro vita, diventarci amico”. Il cambiamento di Ponte Armellina passa attraverso l’educazione dei bambini: nella piccola aula le regole contano più del riscaldamento e della corrente elettrica. Un bambino ha la gomma da masticare, sta per buttarla fuori dalla finestra, ma Daniela lo ferma: “Nella spazzatura, forza!”. Attraverso le canzoni, i giochi e i colori dei disegni passa la loro storia perché molto spesso dove la bocca tace, il disegno urla. Ci sono i bozzetti di Nashida, 12 anni, che ha il tratto di un’adulta quando inventa i suoi abiti da passerella. Donne di carta che indossano vestiti marocchini ma hanno gli occhi truccati e troppa pelle scoperta come le occidentali. “Così si sentono loro: ragazze occidentali fasciate da vestiti tradizionali”, conclude Daniela.
IL POSTINO NON SUONA NEMMENO UNA VOLTA
Un giubbotto arancione, di quelli che si vedono anche al buio, corre veloce attraverso le case di Urbino 2. Un pacco di lettere in mano, il postino lascia le bollette dell’acqua e scappa via. Di fianco qualcuno lo segue con la macchina: la mamma lo scorta e gli guarda le spalle, troppo preoccupata: suo figlio non può camminare da solo per quelle strade. “Tre mesi fa un gruppo di bambini ha rotto le luci posteriori della mia macchina con la fionda e le pietre. Da quel giorno – racconta il postino – non mi fido a venire da solo”. Ha denunciato l’evento ai responsabili del Comune e ai servizi sociali ma “non mi hanno dato ascolto” . Si guarda intorno sospettoso e continua il suo giro. Quando i bambini vedono la sua macchina in lontananza, però, raccontano il loro punto di vista: “E’ cattivo con noi. Ci prende in giro”.
Voltare le spalle a Urbino 2 è sempre stato facile. L’asfalto pieno di buche segna un confine immaginario tra “gli altri” e “loro”. Ma la storia corale di Ponte Armellina inizia e finisce di fronte a un cavalcavia, dove un messaggio segnato con una bomboletta rossa racconta che non importa dove vivi ma che All you need is love.
Alcuni nomi presenti in questo reportage sono stati cambiati per tutelare la privacy delle persone che hanno raccontato le loro storie al Ducato.
TIMELINE: LA CRONISTORIA DI URBINO 2
Da residenze per studenti a quartiere-ghetto. La storia di Urbino 2
Nasce Urbino 2
1 gennaio 1988
Il quartiere viene concepito come luogo di residenza per gli studenti universitari.
La costruzione
1 gennaio 1993Vengono edificate le case che tuttora ospitano gli abitanti di Urbino 2.
Leggi oltreIl centro servizi immigrati
1 gennaio 1999Apre nel quartiere un Centro per l’accoglienza degli stranieri.
Leggi oltreProgetto di riqualificazione
11 novembre 2011
La firma del protocollo che prevede di risolvere i problemi di degrado di Urbino 2.
Emergenza neve
13 febbraio 2012Dopo l’eccezionale nevicata il quartiere di Urbino 2 è abbandonato a se stesso: scarseggiano cibo e legna.
Leggi oltreSportello sindacale
11 dicembre 2013La Cisl apre il primo sportello sindacale nel quartiere.
Leggi oltreLa grande retata
4 marzo 2014Le forze dell’ordine irrompono nel quartiere e arrestano dodici persone per spaccio di droga. Si tratta della più grande operazione di lotta agli stupefacenti nel territorio di Urbino.
Leggi oltreLa situazione oggi
18 marzo 2015Dopo tanti rinvii dovrebbero iniziare i lavori, ma con fondi dimezzati rispetto al progetto iniziale del 2011.
Leggi oltreViaggio nella parte dimenticata di Urbino. Abbiamo incontrato El Hasane, proprietario di un appartamento, che ci ha accompagnato per le strade e raccontato i tanti problemi che i circa 500 abitanti della frazione affrontano ogni giorno
Servizio e immagini a cura di: Isabella Ciotti, Libero Dolce, Enrico Forzinetti, Niccolò Gaetani, Vincenzo Guarcello, Claudio Zago
Hanno collaborato: Giorgio Pinotti e Gianmarco Murroni