La Cgil di Pesaro accusa: “I voucher rischiano di nascondere il lavoro nero”

di JACOPO SALVADORI

PESARO – La vendita dei voucher con cui si pagano i lavoratori occasionali si sta diffondendo sempre di più. Nel 2015, nelle Marche, è aumentata di oltre il 50%. Un dato che fa capire come sta cambiando il mondo del lavoro ma che sta anche mettendo in allarme i sindacati che temono che il sistema dei buoni lavoro nasconda situazioni irregolari. “Inizialmente il sistema dei voucher serviva a far emergere situazioni di lavoro nero e quindi a regolare un rapporto di lavoro occasionale – spiega Jacopo Cesari, segretario della Nidil Cgil di Pesaro – Oggi, però, succede spesso che il datore di lavoro segni uno o due buoni e il resto viene pagato tutto in nero”.
“Il sistema di pagamento con i voucher – sottolinea Cesari – è diventato a tutti gli effetti una nuova forma di ‘assunzione’, senza un contratto e senza i diritti che la contrattazione prevede per il lavoratore: non hai le ferie, non hai la malattia, non hai i contributi, non hai poi la disoccupazione. Ci sono dei datori di lavoro che hanno proposto il licenziamento ad alcuni dipendenti per poi ‘riassumerli’ con questo sistema. In questo modo una persona ottiene la disoccupazione e può lavorare con i voucher”.

Le storieVoucher, come si vive con dieci euro all’ora

Il buono lavoro, materialmente, è una sorta di assegno che viene usato per pagare tutte le forme di lavoro non regolamentato da un contratto e svolte in modo occasionale e discontinuo. È nominale e vale dieci euro: 7,50 vanno al lavoratore, 2,50 sono divise tra contributi Inps (13%) e assicurazione Inail (7%) più un 5% destinato a coprire il costo del servizio. Il lavoratore lo può cambiare alle Poste, ai tabacchi convenzionati, in banca e direttamente all’Inps. Nonostante questo sistema di pagamento porti benefici economici alla previdenza sociale – l’Inps tra gennaio e novembre 2015 ha incassato solo dai voucher emessi nelle Marche la somma di oltre 5,8 milioni – ci sono degli svantaggi per il lavoratore che non ha gli stessi diritti di un dipendente sotto contratto.
“I voucher servono a regolare i rapporti di lavoro occasionali – spiega Cesari – Ad esempio, io ho 20 olivi e durante la stagione, da solo, non ce la faccio a raccogliere le olive. In questo caso posso chiedere a una persona di venire la domenica da me per aiutarmi un paio d’ore e per non pagarla in nero, posso usare i buoni”.

Secondo la Cgil di Pesaro, il pagamento tramite buoni lavoro ha creato una nuova forma di precariato: al posto del contratto regolare di lavoro, il dipendente viene pagato parzialmente o interamente con questo sistema. “Nel settore alberghiero e della ristorazione – sottolinea Ricci – nel 2012 ci sono state 14.997 assunzioni a livello provinciale, mentre nel 2015 solo 9.773. Crediamo che la differenza dei lavoratori, pari a 5.244 dipendenti, oggi senza contratto continui a lavorare pagata con la formula dei voucher”.

Secondo i dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, da gennaio a novembre 2015 c’è stato un incremento del 67,5% su base nazionale e del 61,8% nelle Marche, rispetto al 2014. La forbice si allarga se consideriamo il 2013: +68,1% in Italia, +88,6% nelle Marche. “È vero che le Marche hanno avuto un aumento più basso rispetto alla media nazionale – spiega Simona Ricci, segretaria generale Cgil Pesaro – ma se guardiamo gli ultimi quattro anni, l’incremento è stato a tre cifre percentuali. È sintomo del crollo del lavoro tipico”. I settori storicamente interessati sono quelli legati al turismo, come ristorazione e settore alberghiero, ma con le liberalizzazioni introdotte dalla legge Fornero del 2012, tutti i lavori possono essere pagati in questo modo.

Esiste un tetto: settemila euro all’anno. Ma secondo la Slc-Cgil, il limite è aggirabile. “Basta cambiare il datore di lavoro all’interno di un gruppo che lavora nello stesso impianto, come succede per gli impianti sportivi e palasport, in modo che il lavoratore arrivi a 20.000 euro che è più o meno quanto guadagna un dipendente assunto con le formule conosciute”.

La storia. I buoni lavoro sono stati introdotti in Italia nel 2003 con la legge Biagi ed erano limitati ai piccoli incarichi domestici a carattere straordinario, come l’assistenza domiciliare a bambini e anziani, all’insegnamento privato supplementare, ai piccoli lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici e monumenti, alla realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli. Potevano beneficiare dei voucher anche disoccupati da almeno un anno, casalinghe, studenti, pensionati, disabili, soggetti in comunità di recupero ed extracomunitari in regola con il permesso di soggiorno e disoccupati da al massimo sei mesi. All’epoca, il valore netto dei buoni era di 5,8 euro. Nonostante la legge Biagi, il sistema dei voucher è rimasto inapplicato fino al 2008. Nello stesso anno, il valore è stato aumentato a dieci euro lordi.

Nel 2009 sono iniziate le liberalizzazoni: i voucher sono stati estesi a un gruppo più ampio di potenziali lavoratori e possono essere utilizzati anche quando il datore di lavoro è un ente locale, mentre il valore complessivo delle prestazioni di lavoro così retribuite non può superare tremila euro l’anno. Nel 2012, la legge Fornero ha esteso il loro uso a tutti i settori, anche se ha introdotto alcune restrizioni: il valore nominale dei buoni è stato legato alla retribuzione oraria, tranne nel settore agricolo, ed è stato introdotto il limite di duemila euro per il reddito annuo percepibile dal lavoratore da ogni singolo committente, se commerciante o professionista.
Nel 2015, infine, il Jobs Act ha aumentato il limite di reddito annuo percepibile da un lavoratore da cinquemila a settemila euro, mantenendo però i limiti della legge Fornero.