URBINO – Per un debito da 1.000 euro avevano preteso in garanzia l’auto che aveva pagato 15.000, un operaio di Piandimeleto ha denunciato per estorsione lo spacciatore che gli vendeva dosi di cocaina nel 2013. Seduto sul banco dei testimoni ha raccontato la vicenda durante il processo per il quale sono imputati C.X., 21enne di origine albanese e il presunto complice, S.C., trentenne di Verona, rintracciato dai Carabinieri grazie a una fotografia postata su Facebook.
La vittima, F.R., ha raccontato ai giudici del Tribunale di Urbino i fatti dell’estate del 2013: “Ho incontrato C.X. in una discoteca di Sassocorvaro e più volte ho comprato da lui la cocaina. Ho sempre pagato, certo a volte in ritardo. Quella volta, invece, il debito ammontava a 500 euro, cifra che io non avevo” ha spiegato F.R. al pm Irene Lilliu. Il giovane, che aveva compiuto da poco 18 anni, avrebbe iniziato allora a minacciare l’uomo: “Prima chiamate in ufficio, poi a casa dove vivono i miei genitori anziani. Cosa potevo fare se non rivolgermi ai Carabinieri?”.
Stanco di aspettare, secondo il racconto della vittima, dalle parole C.X. avrebbe deciso di passare ai fatti e una sera, nel settembre dello stesso anno, avrebbe obbligato il suo debitore a consegnargli le chiavi della macchina. Inutili le proteste e le promesse dell’uomo: la sua Bmw doveva servire come garanzia del pagamento. Ad aiutare il ragazzo, un trentenne italiano, veronese di nascita e residente in Valle d’Aosta.
Qualche giorno più tardi, l’incontro a Belforte dell’Isauro per il ‘riscatto’. Qui, solo dopo aver pagato il suo debito, avrebbe riavuto indietro la sua macchina, parcheggiata tranquillamente in una via di Cavallino di Urbino, a 12 chilometri dal luogo dell’incontro. F.R. però aveva già denunciato il suo pusher ai Carabinieri che infatti erano appostati a osservare la scena da lontano.
“Per noi l’imputato era una vecchia conoscenza – ha spiegato Fabio Mariottini, maresciallo di Piandimeleto chiamato anche lui a testimoniare – perché lo avevamo fermato alla guida di un Dodge nero, una macchina che dalle nostre parti non passa inosservata. Dai controlli abbiamo verificato che i documenti dell’auto erano falsi e che il Dodge era di proprietà di una società a noleggio”
Ai Carabinieri però mancava ancora un’informazione: il nome del complice di C.X. E nell’era dei social network, gli indizi si trovano anche su Facebook. Il ragazzo aveva un profilo pubblico dal quale era possibile controllare gli amici. Tra questi un uomo “molto muscoloso e con un cognome finto sui social” aveva postato una foto vicina a una macchina molto vistosa, “proprio lo stesso Dodge di C.X” ha raccontato il maresciallo. Dopo aver visto l’immagine è stato proprio F.R. a riconoscerlo e indicarlo come complice del pusher.
Il giudice Paolo Cigliola ha rinviato l’udienza al 22 giugno, quando saranno sentiti gli imputati ed è prevista la sentenza.