di MAURO TORRESI
URBINO – Dalle cartelle cliniche elettroniche condivise tra gli ospedali alla somministrazione di cure personalizzate in base ai parametri che il nostro corpo invia al medico attraverso smart watch e altri dispositivi ‘intelligenti’. I Big Data, cioè quei grandi archivi di dati da gestire tramite supporti digitali, sono pronti ad entrare nel sistema sanitario. Se ne è parlato giovedì 25 febbraio durante il convegno Le sfide digitali per la performance in sanità nell’aula magna del rettorato della Università Carlo Bo. Tra gli ospiti dell’incontro, il sociologo di fama internazionale Derrick de Kerckhove, introdotto dal rettore dell’Ateneo, Vilberto Stocchi, e dalla direttrice del Dipartimento di Scienze della comunicazione, Lella Mazzoli.
Durante il convegno, lo studioso ha introdotto il concetto di Big Data e i possibili usi per cure e salute. “Usiamo dei FitBit (braccialetti che monitorano parametri come sonno o attività fisica) e altri oggetti – ha spiegato de Kerckhove – e questo si chiama quantified self. L’uomo è quantificato e le informazioni sono raccolte da sistemi di ricerca dei Big Data, su stato di salute, età, eccetera. Se si ha un cancro, che è qualcosa di individuale, questo sistema permette, con una stampante 3D, di creare una molecola personalizzata per combatterlo”. Sulla situazione del nostro Paese lo studioso non risparmia critiche: “L’Italia non sta comprendendo la cultura digitale in arrivo. È in ritardo”.
L’INTERVISTA A DERRICK DE KERCKHOVE
Il grande database interconnesso tra i medici italiani e di tutto il mondo può servire anche all’epidemiologia, per disegnare una mappa geografica dei tumori e studiare la diffusione delle patologie nella popolazione. “In alcuni istituti di eccellenza siamo pronti a usare i Big Data. Quello che manca è la diffusione della loro cultura in ambiti più generalisti”, ha affermato Dino Amadori, dell’Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori. Ma non è così semplice spiegare le relazioni tra basi di dati e ricerche epidemiologiche, specialmente alle persone più anziane che hanno poca familiarità con il computer. “E’ come se avessimo bisogno di un grande tino – è la metafora usata da Mattia Altini, direttore sanitario dello stesso istituto – nel quale inserire i numeri che evidenziano una certa dinamica di causa-effetto per poterli frullare insieme e capire qual è il modo migliore per agire contro la malattia”.
SANITA’ ITALIANA PRONTA PER I BIG DATA? PARLANO GLI ESPERTI