di WILLIAM MARZI
URBINO – Fissate le elezioni per il rinnovo dei Consigli nazionale e regionali dell‘Ordine dei giornalisti. Si voterà domenica primo ottobre, con eventuale ballottaggio la domenica successiva. Al primo turno sono eletti solo i candidati che ottongono la maggioranza assoluta dei votanti. Per l’assegnazione dei posti restanti si farà il ballottaggio tra i più votati in numero doppio rispetto ai posti disponibili.
Il consiglio nazionale cambierà secondo le nuove regole fissate dal decreto legislativo approvato nel marzo scorso. I Consigli attuali, sia regionali che nazionale, sono scaduti nel giugno del 2016 ma, su decisione del Governo, sono stati prorogati fino al prossimo 30 giugno proprio in previsione dell’approvazione della riforma.
COME SI VOTA
La prima convocazione per le elezioni è in realtà fissata per il 24 settembre, ma sarà valida solo si raggiungerà la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto, cioè il 50% + 1. Cosa praticamente impossibile. I giornalisti andranno quindi di fatto alle urne domenica 1 ottobre e domenica 8 per i ballottaggi.
Si vota nei capoluogo di regione e in eventuali seggi provinciali nelle regioni più ‘popolate’ da giornalisti. Non si può votare per via telematica e non esistono liste; sono eleggibili tutti gli iscritti in regola con il pagamento delle quote.
Nelle Marche chi andrà a votare potrà scegliere un solo professionista o un solo pubblicista, a seconda della categoria a cui appartiene.
Ogni regione porterà a Roma almeno un professionista e un pubblicista, per un totale di 40. Gli altri 20 saranno assegnati in base agli iscritti regionali, con Lombardia e Lazio in testa.
LA RIFORMA: RIDOTTO IL PESO DEI PUBBLICISTI
Quali sono i cambiamenti più importanti introdotti dalla riforma? Prima di tutto il numero dei consiglieri nazionali che passa dagli attuali 156 a 60. L’altra novità sostanziale è il principio della rappresentanza: è stato introdotto il rapporto di 2 a 1 a favore dei professionisti, cioè coloro che svolgono la professione in modo esclusivo e che hanno sostenuto un esame di Stato. Quindi dei 60 consiglieri 40 saranno professionisti e 20 pubblicisti.
Fra i sessanta ne saranno scelti dodici che andranno a formare il Consiglio di disciplina: perderanno le funzioni amministrative per occuparsi degli aspetti deontologici. Questo rapporto di 2 a 1 è già presente nei Consigli regionali, formati da 9 consiglieri per ogni regione, 6 professionisti e 3 pubblicisti. La riforma non tocca i Consigli decentrati.
E’ stato quindi eliminato a livello nazionale il criterio moltiplicatore che negli ultimi decenni ha squilibrato il rapporto fra professionisti e pubblicisti. La norma precedente prevedeva una rappresentanza di due professionisti e un pubblicista per ogni Ordine regionale ai quali, però, si aggiungevano un professionista ogni 500 nuovi iscritti e un pubblicista ogni mille. L’aumento abnorme dei pubblicisti ha ingigantito il Consiglio nazionale e stravolto il principio di rappresentanza, tanto che nel consiglio uscente le due componenti si equivalgono.
Obiettivo della riforma è anche abbattere i costi e rendere più efficaci e snelle le decisioni che riguardano la vita professionale dei giornalisti. Le nuove norme approvate dal Parlamento modificano alcune parti della legge istitutiva dell’Ordine che risale al 1963. Da allora è cambiato il mondo. All’epoca i giornalisti professionisti erano circa diecimila e i pubblicisti quasi ventimila. Oggi gli iscritti all’Ordine sono 110mila, il 70% pubblicisti, molti dei quali inattivi. In Francia i giornalisti sono poco più di 45mila; negli Stati Uniti circa 68mila.
Da decenni si parla di questa riforma che però è stata sempre ostacolata da veti incrociati fra le forze politiche e fra gli stessi giornalisti. Alcuni sostengono l’incongruenza di un organismo di categoria governato da chi esercita la professione in modo parziale o saltuario e che è iscritto anche ad altri Ordini come avvocati, commercialisti o architetti. Altri invece sottolineano che molti pubblicisti sono in realtà “professionisti camuffati e sfruttati” e quindi meritano pari dignità. Il Governo, vista l’impossibilità di arrivare a una posizione comune, ha fatto le proprie scelte e deciso per questo tipo di taglio.