“Io, travolto dalla folla in piazza San Carlo e salvo grazie alla bandiera della Juve”

Armando Antifunario, uno dei tre studenti di Urbino che sabato era in piazza a Torino
di LORENZO CIPOLLA

URBINO – “Scappavo e mi sentivo male al pensiero di non potere aiutare nessuno”. Antonio Caruso, 23 anni, non riesce a trattenere le lacrime mentre racconta ciò che ha visto e vissuto sabato sera a Torino. Quando, insieme ai suoi due amici, Armando e Daniele, è partito da Urbino per andare a vedere la finale di Champions League in piazza San Carlo. Un viaggio di oltre 500 km. Sei ore di treno, quattro cambi – a Pesaro, Piacenza, Alessandria e Voghera – fino al capoluogo piemontese. Volevano fare festa insieme agli altri (30mila) tifosi. Invece la piazza ha rischiato di trasformarsi in un altro Heysel.

“Era un clima sereno, che mi piaceva” dice Armando Antifunario, 22, al terzo anno di Farmacia “c’erano bambini con i genitori, persone anziane, ultras con i fumogeni che facevano un po’ atmosfera da stadio”. Forse anche troppo ‘da stadio’ perché i tre ragazzi si sono dovuti spostare verso la fine della piazza per i fumogeni che, già prima della partita, gli impedivano di vedere lo schermo.

I tre arrivano in piazza alle 18:30. Prima di entrare vengono perquisiti dalla sicurezza. Ci sono i metal detector. “Nonostante i divieti, era pieno di ambulanti che vendevano birre in bottiglie, tutti entrati dall’unico varco non controllato dalle forze dell’ordine. Erano così tanti che durante la partita i loro carrellini continuavano a colpirmi le caviglie”, dice Daniele Basta, 22, anche lui studente di Scienze Motorie. Un problema. “Visto che quando abbiamo iniziato a scappare ci siamo ritrovati tra i piedi un tappeto di vetri. Senza, i feriti non sarebbero stati così tanti”.

Durante l’intervallo i ragazzi vanno verso il centro della piazza. Proprio di fronte alla statua. Ed è in quel momento che inizia “il delirio”, come lo definisce Armando.

“È stato dopo il terzo gol, quello di Ronaldo. È scoppiato un petardo e la folla, spaventata, si è spostata facendo cadere la transenna sopra l’ingresso del parcheggio, il rumore è stato quello di una mitragliatrice o di un terremoto” continua Antonio. “È stato in quel momento che un ragazzo, probabilmente ubriaco, ha cominciato a gridare che c’era una bomba e che era in corso un attentato. Nessuno ha capito cosa stesse succedendo, abbiamo pensato solo a metterci in salvo”.

“C’era gente che correva e urlava ‘Attentato! Attentato!'”,ricorda Daniele. “Nella testa avevo un solo pensiero. Correre. Dietro di me vedevo padri disperati con i propri figli ma l’istinto di sopravvivenza mi spingeva ad andare avanti”. Daniele ha un altro problema oltre alla fuga. Soffre di diabete e mentre scappa inizia a sentirsi male: è cianotico, respira male, rigetta più volte. Ha la glicemia a 500  – il livello normale non supera 200 – e non può iniettarsi l’insulina perché l’ha persa scappando. “Ho chiesto indicazioni per un pronto soccorso. Era come un film di guerra con tutto quel sangue e quei feriti. Alla fine raggiungo un ospedale oftalmico dove riescono comunque a soccorrermi”.

“La polizia gridava di disperdersi allora io sono corso verso via Roma e poi ho preso due traverse finché mi sono riparato in un hotel” riprende Armando che nella sua fuga si vede circondato da gente che cadeva sui vetri infranti, gente coperta di sangue e altri che non ce la facevano e venivano portati in braccio. “C’era una coppia distesa per terra, abbracciati, venivano calpestati. Sembrava che non avessero la forza di alzarsi e scappare”. “Un ragazzo si era chinato sopra un bambino a mo’ di scudo e si prendeva i calci per difenderlo” aggiunge Antonio.

Nessuno aveva ancora ben capito cosa fosse successo e si dava credito anche alle voci che sostenevano che ci fosse qualcuno armato che sparava per le strade. “Ogni volta che passava una macchina la gente si buttava in terra con le mani sulla nuca temendo che sparassero dalle macchine” dice Antonio. Che nella fuga cade sopra una ragazza a terra e in pochi secondi viene travolto. “Se ci fossero stati dei terroristi sarei morto di sicuro”. Ma è grazie alla Juve che riesce a rimettersi in piedi. “Mi sono aggrappato a una bandiera di un ragazzo che passava e ho ricominciato a correre. Rendendomi conto solo dopo di avere dei profondi tagli sulle gambe. Ho usato lo stesso drappo per fermare il sangue”.

Una delle medicazioni di Antonio Caruso, 23 anni, studente di Scienze Motorie

Al telefono la madre e la fidanzata non gli vogliono credere: in tv nessuno parla di attentato.“A noi sembrava di essere stati proprio in mezzo a un attacco, di avere sentito gli spari”.

Antonio, Armando e Daniele si perdono di vista. I primi due, uno illeso e uno ferito, si ritrovano in piazza dopo mezzanotte e quello che vedono è “uno scenario apocalittico”: persone con ferite alla testa, spalle slogate, sciarpe bianconere diventate rosse dal sangue, che aveva macchiato tutto, chiazze di vomito per terra. “Avevo paura a chiedere alla gente come stava, pensavo che le mie ferite fossero nulla rispetto a quelle degli altri”, riprende Antonio.

Nel caos della fuga avevano lasciato, come molti altri, gli zaini in piazza. Glieli hanno rubati. Armando però ha con sé telefono, soldi e documenti, mentre Antonio neppure questi. Fortunatamente avevano fatto i biglietti del treno online.

Antonio viene soccorso dagli infermieri del presidio del pronto intervento che era nella piazza – “Non ce la facevo più a camminare e le ferite cominciavano a bruciare” – e con Armando va alla stazione dove si ritrovano con Daniele. È notte fonda ma di prender sonno neanche a parlarne, dice Antonio: “Non riuscivo a dormire perché avevo tutte le immagini davanti a me: sangue, volti delle persone impaurite a cui leggevi in faccia la paura”. Riescono a ripartire per Urbino solo la mattina dopo.

“Io non sono un tipo molto ‘social’, non condivido troppo le emozioni o le storie” – conclude Antonio- “ma stavolta è diverso. Voglio far capire cosa si prova quando si pensa di morire”.