di ELEONORA SERAFINO
FANO – Robinson, La Lettura, Origami, Il venerdì, Domenica… Sono molti in edicola gli inserti e i supplementi culturali dei quotidiani che vivono, spesso sopravvivono, alla crisi della carta stampata. Investita da un’onda, quella del web, che ha travolto tutto e non di rado si è appropriata della funzione (in particolare la cronaca) storicamente ricoperta dall’inchiostro. In che modo queste piccole e grandi realtà editoriali stanno riuscendo a difendersi e a trattenere il loro pubblico? La risposta è nell’originalità della grafica, ancora più che negli argomenti trattati.
Nella terza giornata del Festival del Giornalismo Culturale, sette giornalisti che si occupano di cultura, hanno discusso partendo dalle fondamenta, dalla definizione stessa di “giornalisti culturali”. Letizia Magnani, che collabora con Quotidiano Nazionale e con Il Piacere della lettura si è così presentata alla platea del teatro contestando l’etichetta: “Il giornalismo culturale non esiste e non esiste il giornalista culturale, esiste il giornalismo e basta. Io sono una giornalista di terreno, le mie interviste sono le stesse che siano a un ministro o a un grande personaggio della cultura”. Sulla stessa linea Cesare Martinetti, direttore del settimanale Origami ed editorialista de La Stampa, che definisce il giornalismo culturale “un modo di raccontare la realtà, qualunque essa sia, quella della cronaca o quella dei libri”. “Tutti i giornalisti sono giornalisti culturali – incalza Armando Massarenti, responsabile di Domenica, il supplemento de Il Sole 24 Ore – se un giornalista non è giornalista culturale, non so che giornalista sia!”.
Di parere differente Marco Bracconi, caposervizio al desk di Repubblica e curatore del blog Politica Pop, secondo cui il giornalismo culturale si differenzia dalle altre forme di giornalismo, ma in questo momento deve fare i conti con un suo limite, ovvero il fatto di “parlare un’altra lingua, troppo diversa dai meccanismi di semplificazione che dominano il web”. Una lingua che spesso viene compresa solo dai cosiddetti “addetti ai lavori” e che conferma il carattere elitario della terza pagina definita da Martinetti un “ghetto”.
Origami – spiega il direttore – “è nato proprio per superare questo confine autoimposto e l’arretratezza dei tradizionali mezzi di informazione rispetto alla nuova comunicazione”. Una sfida,
iniziata due anni fa come “una piccola impresa artigianale” che ha cercato non semplicemente di inseguire il web, ma di compiere anche qualche sorpasso con qualcosa di diverso: una veste grafica originale. Un’estetica, insomma, che nel tentativo della carta stampata di mantenere il passo da centometrista dell’online, può essere, secondo Massimiliano Tonelli, fondatore e direttore di Artribune e responsabile dei contenuti di Gambero Rosso, un modo per “attirare l’attenzione di chi ha la testa nello smartphone e magari può sentirsi più figo ad avere un prodotto cartaceo bello tra le mani”.
Su questo terreno si è mosso Origami. Un solo foglio che si può piegare proprio come i famosi giochi di carta giapponesi e riaprire anche dopo un mese, essendo gli argomenti di cui si occupa non di stretta attualità ma di più ampio respiro. Escamotage simile quello adottato da La Lettura, che – precisa Stefano Bucci, responsabile della sezione arte del supplemento – “nasce come approfondimento per raccontare storie con strumenti nuovi, quali l’elemento visivo, la graphic novel, i grafici e la copertina affidata sempre a un artista contemporaneo differente. Da questo punto di vista è un supplemento strano”.
Nonostante le vesti innovative con cui si cerca di fidelizzare sempre più i vecchi lettori e conquistarne di nuovi, i supplementi culturali – fa notare Armando Massarenti – restano un luogo calmo, una sorta di “comfort zone” per chi li sceglie, differente dalla rete che “uccide lo spirito critico, perché è il luogo in cui ciascuno cerca cose che non fanno altro che confermare le proprie credenze di fondo”.
Che uccida o meno lo spirito critico, il web ha cambiato le modalità di fruizione e il modo in cui le persone scelgono dove e quando informarsi, contribuendo ad alimentare un’innegabile crisi della carta stampata. A questo proposito, Marco Filoni, responsabile della cultura di Pagina 99 e una delle voci di Pagina 3, trasmissione culturale di Rai Radio 3, lancia una provocazione: “Gli inserti culturali escono con i quotidiani. Ma se questi non ci fossero, davvero i supplementi, seppur con le migliori firme, sopravviverebbero?”. E ancora: “Se un giovane oggi dicesse ‘voglio fare il giornalista culturale’, gli rispondereste ‘fai bene!’?”. Alla mancanza di ottimismo di Filoni, si contrappone la posizione di Armando Massarenti, secondo cui la risposta da dare a qualsiasi coraggioso che voglia intraprendere questa strada non può che essere: “Prova a non a seguire le vie del giornalismo tradizionale, ma a inventarti qualcosa di nuovo. Del resto anche Repubblica è nato così e oggi è diventato uno dei giornali più letti nel nostro Paese”. “ E se non funziona?” – conclude Massarenti – “Pazienza, intanto proviamo!”.