I ‘policlinici’ del patrimonio culturale. L’idea per le Marche colpite dal sisma, facendo rete

Marco Ferrazzoli, Renato Minardi, Alessandro Delpriori, Anna Maria Ambrosini, Giuliano Volpe e Romano Carancini durante il dibattito sul "Patrimonio offeso dai terremoti"
di MARTINA MILONE

FANO – La terra del Centro Italia ha tremato 74mila volte in un anno. Un numero altissimo, dal sisma che ha colpito Lazio, Umbria e Abruzzo nel 2016 la situazione è in continuo divenire. Tra le molte fratture che ha creato ce n’è una, quella che riguarda il patrimonio artistico culturale, in alcuni casi danneggiato irrimediabilmente. Nelle Marche, sono 26mila le opere da ripristinare, salvate e conservate al sicuro in depositi. “Un numero – spiega il consigliere regionale Renato Minardi – dovuto all’estensione del sisma sul territorio”. Sono 87 i comuni colpiti, troppi per identificare la Regione con un solo nome, come Amatrice nel Lazio o Norcia in Umbria.

Minardi ha iniziato così il suo intervento durante l’ultimo incontro pomeridiano della terza giornata del Festival del giornalismo culturale, dal titolo “Il patrimonio offeso dai terremoti. Le tecnologie al servizio dei beni culturali feriti dal sisma”, condotto da Marco Ferrazzoli, capo ufficio stampa del Cnr (Centro nazionale delle ricerche). Difficile pensare a innovazione e a tecnologia in un territorio profondamente radicato nella terra come quello marchigiano, dove però è possibile trovare l’eccellenza di alcune giovani menti. Importante, perciò, fare ‘rete’ tra la necessità di ricostruire, di rivalorizzare il territorio, e quella di dare lavoro, costruendo dei ‘policlinici culturali’, dove gli specializzandi dell’arte possano sviluppare idee nuove con entusiasmo.

“Il problema di base,però, è ricostruire le identità territoriali – ha spiegato durante dibattito Alessandro Delpriori, sindaco di Matelica – E tutti i beni culturali entrano in questa ricostruzione identitaria”. Nella chiesetta di montagna, nell’edificio storico cittadino, nel palazzo comunale, in luoghi semplici, le persone riconoscono se stesse e vanno a cercare conforto dopo un evento catastrofico come il sisma. “Il secondo problema poi – continua – è dare lavoro. Ripopolare l’entroterra dando nuove possibilità economiche”.

Un vuoto identitario quindi, che però, nelle Marche, fatica a essere colmato. Sono solo 170 milioni gli euro stanziati dal Mibact e 34 quelli spesi dalla Regione, per ristrutturare una lista di 100 edifici scelti anche insieme alla Cei (Conferenza episcopale italiana), non sufficienti a colmare il danno che il terremoto ha causato, soprattutto a livello turistico. Ma ragionare in termini di cose, secondo Giuliano Volpe, non è possibile. Citando lo slogan pubblicitario “Persone oltre le cose”, il Presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e paesaggistici del Mibact svia l’attenzione dal problema fondi, concentrandosi sulla persona. “Bisogna ragionare in termini contestuali e di prospettiva – spiega nel suo intervento – prevedere un sistema diffuso per gestire un patrimonio diffuso sul territorio”. Parola d’ordine, progettualità. Partire dalla messa in sicurezza del monumento, per esempio, fino alla sua valorizzazione, anche tecnologica, coadiuvando forze specialistiche diverse. “È più dannoso stanziare risorse utilizzate male, che non stanziarle affatto”, conclude il Presidente.

Un passo avanti dal terremoto a oggi però c’è stato. Molte le mostre organizzate per valorizzare l’arte del territorio, dalla Galleria degli Uffizi a Firenze, dove sono stati portati alcuni tesori marchigiani per una mostra temporanea, a quelle allestite in molte località nostrane, da Osimo a Matelica. Offerte importanti sì, ma che, secondo la studiosa di Storia dell’Arte, Anna Maria Ambrosini, intervenuta al dialogo, “bisogna modulare in base al proprio pubblico”.

“Nei precedenti terremoti abbiamo fatto dei clamorosi autogol – racconta Romano Carancini, sindaco di Macerata, ospite dell’incontro – Portavamo fuori le opere che invece andavano valorizzate”. Una lettura del terremoto quasi in chiave opportunistica, ma obbligata. “Il terremoto è un’opportunità per il sistema Paese – continua Carancini – Cambia la filosofia del sistema culturale”. Necessario, infatti, avere consapevolezza del fatto.

Tuttavia progetti e consapevolezza non bastano in una ricostruzione che procede a rilento e che avrebbe bisogno di quasi 25 miliardi per essere portata a termine. Una mancanza che non riguarda solo il patrimonio culturale, ma anche il mondo, fondamentale per la ripresa turistica, delle seconde case. Sono molti infatti i ‘sentimental’ o oriundi, nostalgici delle loro origini.

“Ad oggi su 45 biblioteche del territorio 22 sono chiuse, e su 166 musei 60 sono ancora inagibili”, spiega Minardi all’incontro. E specifica: “La ricostruzione sarà il più grande cantiere d’Europa dei prossimi anni, va valorizzata. E la Regione lo sta facendo con un piano straordinario di promozione culturale”.

L’auspicio, futuro ma anche del presente, è quello di progetti che facciano ‘sistema’. Partendo da uno studio del luogo o del patrimonio costruire un progetto ad hoc, che sfrutti non solo l’architetto ma anche i 1500 specialisti dell’arte marchigiani, o, perché no, informatici che sviluppino visualizzazioni alternative dell’opera. Insomma, creare dei “policlinici del patrimonio culturale”, come ha suggerito Volpe durante il dibattito, che facciano rete e possano dare lavoro ai giovani esperti, salvaguardando e valorizzando il patrimonio.