La tradizione del guanto
L’industria dei guantai a Napoli era già fiorente all’inizio dell’Ottocento. Nel 1932, sulla Rassegna economica, fu pubblicato un articolo in cui il prodotto napoletano veniva elogiato per le sue caratteristiche qualitative e per la capacità di penetrazione nei mercati stranieri, anche se si segnalava il carattere prevalentemente casalingo della produzione e l’arretratezza del comparto. A quei tempi erano ben 25 mila gli artigiani guantai solo a Napoli: come scrive Antonio Caiafa nella sua tesi di laurea, l’Ente Nazionale per l’Artigianato e per le Piccole Industrie calcolava che i due terzi della produzione nazionale di guanti era opera degli abitanti napoletani.
Negli anni Quaranta iniziò una crisi del settore che fu acuita dalla guerra. Il lavoro nero diventò un elemento strutturale della produzione, anche per le imposte sempre più alte che gravavano sulle aziende. Fino agli anni Settanta alla Sanità, a Materdei, in via Guantai Nuovi e altre zone limitrofe, ancora buona parte di donne e uomini lavoravano i guanti nella propria abitazione con figli, parenti e conoscenti.
Gli anni Ottanta videro il declino completo dell’artigiano guantaio e l’emergere di poche fabbriche che continuarono la produzione. I maestri della pelle preferirono risolvere la questione lasciando definitivamente questo mestiere, andando spesso a occupare i posti offerti dall’amministrazione pubblica.
L’attività autonoma e semi-autonoma svolta in casa si è quasi esaurita oggi e l’esportazioni di guanti, fatta ancora da qualche fabbrica napoletana come quella di Squillace, risente fortemente degli influssi economici europei, statunitensi e cinesi.