URBINO – La sua è la procura di Gomorra, dove nessuno vuole più lavorare: il personale non basta, il lavoro è troppo e la guerra alla camorra è cosa di tutti i giorni. Corrado Lembo non è un giornalista. E’ il capo della procura di Santa Maria Capua Vetere, alle porte di Caserta.
Eppure il confronto con gli allievi dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo è sembrato a tratti una conversazione tra colleghi invece di una lezione di procedura penale. “Un bravo giornalista – ha spiegato Lembo – non si ferma alla superficie dei fatti, ma cerca sempre di risalire alla loro origine. I bravi magistrati fanno lo stesso”.
E’ così che una rapina a mano armata può diventare più di un semplice fatto di cronaca. “L’autore della rapina – ha raccontato Lembo – era un ragazzo incensurato, benestante, figlio di un primario. Non riuscivamo a spiegarci perché avesse deciso di rapinare una banca. Durante l’interrogatorio ci accorgemmo che aveva il cosiddetto labbro leporino. Suo padre l’aveva rifiutato fin dall’infanzia per questa malformazione e a lui venne in mente di compiere una rapina per conquistare quelle attenzioni che non aveva mai avuto. Il ragazzo è stato condannato, ma il processo è servito a farli riavvicinare”.
Video intervista di ANTONIO SIRAGUSA
Per Lembo, le similitudini fra i due mestieri non finiscono qua: “I magistrati non sono ricettori di notizie di reato”, così come i giornalisti non sono, o non dovrebbero essere, passatori di veline. “Entrambi hanno il dovere di cercare, di essere indipendenti”. Proprio per questo, è un grande fan della conduttrice di Report, Milena Gabanelli: “Nella mia procura – ha detto – vorrei venti giornalisti come lei”.
Certo, non sempre le due categorie condividono gli stessi obiettivi. Un giornalista ha il dovere di pubblicare notizie di interesse pubblico (e l’ambizione di farlo prima degli altri): che siano penalmente rilevanti o meno, coperte dal segreto delle indagini o meno. Un magistrato ha il dovere di tutelare un segreto, almeno fino a quando l’atto giudiziario non viene notificato all’indagato o al suo avvocato. Malgrado queste differenze, Lembo riconosce ai giornalisti il diritto e il dovere di andare fino in fondo, perché “i fatti taciuti intenzionalmente producono mezze verità e una mezza verità non è mai giustificabile, né da un punto di vista deontologico, né dal punto di vista penale”.
Ciò che conta, per lui, è che “magistrati e giornalisti facciano il loro lavoro rispettando la dignità umana. Non importa – ha detto – se avrete davanti un killer o un incensurato. Ricordatevi sempre che si tratta di una persona”.