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Sul palco del teatro Sanzio Ottavia Piccolo con “L’arte del dubbio”

di    -    Pubblicato il 13/01/2012                 
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Ottavia Piccolo e Vittorio Viviani

URBINO – Un susseguirsi di storie attraversate dal dubbio. “Ma se bastasse il ricordo di questa serata una cosa c’è, una sola che non va scordata: ed è quanto è prezioso il dubitare per non farsi in alcun modo raggirare”. Questa è la battuta finale e il senso dello spettacolo “L’arte del dubbio” che andrà in scena in prima nazionale il 20 gennaio al teatro Sanzio di Urbino, con la regia di Sergio Fantoni.

Ottavia Piccolo e Vittorio Viviani sono i protagonisti di questa moderna commedia dell’arte articolata in quadri. Uno spettacolo che non ha la forma canonica della commedia, personaggi, intreccio, inizio e finale, ma una forma teatrale aperta, dove i personaggi a volte si rivolgono direttamente al pubblico in sala, entrano ed escono dai ruoli. Ci sono i giochi di parole, lo strumento dell’interrogatorio e la forma del processo, che da quando esiste il teatro è una delle cose che funziona di più. “Il dubbio condiziona la nostra vita sia in maniera positiva – spiega Viviani –  perché ci induce sempre a riflettere, che negativa,  ad esempio quando crea incertezze su persone perbene”.

Il teatrino stilizzato, costruito sul palcoscenico, col siparietto, le entrate, le quinte, le luci, ricorda il teatro-cabaret brechtiano. All’ inizio compaiono in scena Adamo ed Eva con l’albero proibito. Il serpente che è il dubbio, dà un suo decalogo: “Io sono il dubbio, non esiste altra verità all’infuori di me”, e diventerà il motore che muoverà d’ora in avanti le loro vite. La rappresentazione è la versione teatrale di Stefano Massini del libro omonimo del magistrato Gianrico Carofiglio che, partendo da verbali di processi autentici, aveva preso in esame vari tipi di situazioni che si creano durante gli interrogatori, sia quelli andati a buon fine, che cioè hanno ottenuto lo scopo che si prefiggeva chi poneva le domande, sia quelli falliti.

Nello spettacolo ci sono 5 interrogatori tratti dal libro. “Noi facciamo due versioni diverse dello stesso interrogatorio – dice l’attrice Ottavia Piccolo – dove l’avvocato, nella prima versione, interrogando il collaboratore di giustizia in modo pacato, riesce a renderlo poco credibile. Nel secondo caso, l’avvocato è aggressivo, e rende una vittima – e quindi credibile – il collaboratore di giustizia, perdendo così il vantaggio che aveva. Non solo le parole sono importanti, ma anche come si dicono”.

C’è anche un accenno alla pubblicità nata negli Stati Uniti con un decalogo per insegnare a vendere, ma che è anche un campanello d’allarme che dice di non lasciarsi ingannare. “L’ estraniamento brechtiano del cabaret – dice Viviani –  è presente anche negli elementi di scena. Utilizziamo molto le sagome:  prima entro dietro a una dove è disegnato il personaggio, pian piano  esco con gli stessi elementi della sagoma,  a sottolineare che il cabaret è appunto distanza dal personaggio. Usiamo parrucche, baffi finti, non ce li mettiamo con la colla, ma con l’elastico, è tutto molto dichiarato. E’ il gioco teatrale di cabaret, come si faceva un tempo”.

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