C’è una zona, tra le colline del Montefeltro, che non si vede. Ci si arriva dalla statale 73 bis, che collega Urbino a Pesaro: si entra a Gallo di Petriano, si passa sotto a un cavalcavia, si supera qualche villetta e dopo una svolta a sinistra, nascosta dalle siepi, ecco Ponte Armellina, chiamata poeticamente ‘Urbino 2′.
Un quartiere residenziale, a detta del Comune di Urbino. Per alcuni, invece, è il ‘Bronx’, come testimoniava una scritta sull’insegna di Gallo. La realtà è che si tratta di un ghetto: un “quartiere in cui sono raggruppate minoranze socialmente o razzialmente escluse da una comunità”, secondo la Treccani.
Gli italiani si contano sulle dita di una mano, a Ponte Armellina. Tutto il resto, circa 470 persone, è composto da marocchini, albanesi, macedoni, nigeriani. “Delinquenti”, secondo alcuni italiani, che hanno “occupato il complesso urbanistico in questione”, stando a un comunicato diffuso lo scorso novembre dalla Prefettura di Pesaro e Urbino.
Ma quando la parola ‘crisi’ era ancora un lontano incubo sepolto tra le guerre, quanto facevano comodo alle floride fabbriche dell’area operai – anche minorenni- a 5000 lire l’ora?
Oggi molti di loro sono a spasso. Licenziati o cassaintegrati, sono stati i primi a pagare il conto della crisi. Vivono in questo isolato composto da cinque fabbricati, uno orizzontale e quattro verticali, chiamati ‘stecche’. A parte la più grande, le altre palazzine sono residuati di quella moda, tutta italiana, di costruire la peggior tipologia di abitazione arricchendosi il più possibile: materiali scadenti, forniture inadeguate, zero ricambio d’aria.
Tradotto in fatti: muri che crollano, termosifoni troppo piccoli per poter riscaldare un ambiente, muffa onnipresente per la scarsità di finestre. Gli appartamenti, monolocali di circa 25-30 mq, bilocali o trilocali di 50-60, sono tutti da rifare.
IL PROGETTO - Ponte Armellina, sogno mai realizzato
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Dai muri spuntano sinistre canne fumarie, più o meno arrugginite: provengono dalle stufe a pellet, che quasi tutti gli abitanti hanno sostituito ai termosifoni veri e propri. “Quando sono arrivato qui, nel ’95- racconta Abdelmalek- accendevo il riscaldamento per un paio d’ore la sera. Mi arrivavano bollette altissime, anche di 400 mila lire. E la casa rimaneva fredda. Non potevo pagare così tanto: allora ho staccato tutto, e ho preso una stufa”.
Nelle stufe si brucia di tutto: legna, truciolato, giornali, materiali che contengono collanti. Quando fa davvero freddo, a Urbino 2, nei vialetti non si respira. Un rischio per la salute e l’incolumità degli abitanti.
La strada che collega Urbino 2 alla frazione di Gallo, è tutta un cratere. Non c’è una barriera divisoria a separarla dal cavalcavia adiacente che immette sulla statale. Un rischio per i bambini che giocano in strada, o nel prato adiacente. Il ‘parchetto’, poi, merita un capitolo a sé: uno scivolo rotto, due altalene carbonizzate e una struttura con appesi dei copertoni incrinata sul lato destro.
Il Comune di Urbino, come da copione, si guarda bene dal riparare i giochi. “E perché dovrebbero ripararli – asserisce la signora Rita, proprietaria dell’unico bar del quartiere- se non fanno altro che romperli?” Ma se qualcuno distrugge le giostre, l’amministrazione deve per questo negare lo spazio giochi agli altri?
Eppure, quando è stata costruita –circa 25 anni fa- Urbino 2 sembrava il nuovo modello di edilizia residenziale. Con una parte pensata per gli studenti (le quattro ‘stecche’ in questione), avrebbe dovuto ricevere la popolazione urbinate che voleva vivere fuori dal centro. Il progetto originale comprendeva campi da tennis, un ristorante, negozi, servizi e persino una piscina. Poi, qualcosa è andato storto: a cominciare dalla ditta costruttrice, che non ha portato a termine il piano. Il resto, lo ha fatto l’isolamento da Urbino
. Gli studenti, rimasti senza autobus – compagnie private potevano avere il monopolio della tratta Pesaro-Urbino senza curarsi di Urbino 2- se ne sono andati, e con loro anche i residenti italiani. Il quartiere è stato quindi popolato dagli stranieri, che lavoravano nella zona e trovavano affitti bassi. Di servizi, a parte lo sportello immigrati e il centro aggregazione per i bambini, (entrambi del Comune) non se ne è visto nessuno.
La sensazione più diffusa è quella di essere stati abbandonati. Dal Comune, lontano più di 10 km da questo quartiere, ma anche dai proprietari degli appartamenti. Alcune abitazioni sono della ditta costruttrice, che ha fallito: ora gli affitti li riscuote un funzionario del Tribunale, e gli appartamenti sono all’asta. Altre, sono di privati che non ne vogliono più sapere della zona: chiudono le case che poi vengono occupate.
Certi padroni di casa fanno pagare degli affitti forfettari agli inquilini, cifre simboliche –come 600 euro l’anno- da riscuotere in un’unica mandata. Uno di loro, addirittura, si era dimenticato della sua casa di Ponte Armellina: viveva in Svizzera, e lì l’hanno contattato perché facesse un contratto regolare agli inquilini.
Ora il Comune vuole, per l’ennesima volta, tentare di riqualificare l’area. Un progetto che prevede lo spostamento della maggior parte degli abitanti. Agli immigrati che sono diventati proprietari, come Negib, l’idea non dispiace: “Se mi trovano un altro posto e posso vendere bene, perché no?”
Ma le proposte non sembrano allettanti. Il Comune ha già fatto qualche offerta: poche migliaia di euro per un bilocale fatiscente. Gli affittuari, come Abdelmalek, sono più scettici: “Sono anni che ci dicono che faranno un intervento. Io non ci credo più. Ci spostano? Va bene, se trovano qualcosa che posso permettermi. Ma se non lo trovano, non possono cacciarmi: ho tre bambini, e mi incatenerò alla porta”.
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