URBINO – La pioggia batte sulle antenne che spuntano dal prato. Una nuvola nasconde il sole e per qualche minuto l’unico rumore è il vento che urla forte tra le finestre rotte dei palazzi. È la telecamera di Andrea Laquidara a dare luce al quartiere di Ponte Armellina, messo in ombra dai pregiudizi e dalle paure di chi non comprende, ha paura o semplicemente non conosce. Ponte Armellina viene da molti considerato il “ghetto” di Urbino. Qui le ombre della nostra cultura si allungano sulla vita dei suoi 500 abitanti.
Il documentario Fuori dalle mura del regista nato a Messina ma urbinate di adozione (prodotto dall’associazione La Ginestra) parla proprio di questa “eclissi”, la “città ideale” che nasconde il suo alter ego: il quartiere chiamato anche Urbino 2.
Intervistato dal Ducato, Laquidara racconta di aver scelto Ponte Armellina proprio per “toccare una zona d’ombra di Urbino, rimossa, importante perché è un luogo di incontro con l’altro”. Il regista la paragona alla città di Ilio, “l’assedio: cioè cercare di entrare in un posto da tanti punti di vista diversi per cercare di vedere la prospettiva in cui gli stessi abitanti si vedono”.
Il punto di vista più interessante, secondo il regista, è quello dei bambini, veri protagonisti del documentario. “Raccontano se stessi e nelle loro parole viene fuori il modo in cui loro vedono il luogo in cui vivono e Urbino”.
SPECIALE MULTIMEDIALE: Ponte Armellina, quelle cinquecento vite nascoste da Urbino
Il film è un cammino tra le case del quartiere. I vestiti colorati stesi sul filo, fuori dalle abitazioni, nascondono le vite degli abitanti. L’occhio della telecamera osserva con lentezza le palazzine in rovina, cercando di entrare nelle finestre aperte per catturare stralci di emozioni di chi ci vive dentro.
“Ho visto le condizioni concrete e pratiche molto difficili ma credo che il vero problema sia l’integrazione con le altre parti di Urbino”. Il distacco tra le due città diventa quasi un dolore fisico, come “un arto tagliato. Se isolato dal contesto, non ha più forza vitale”.
Lo spettatore viene coinvolto dalle storie raccontate nel documentario e ‘costretto’ a confrontare le immagini di Ponte Armellina e Urbino: culture diverse si abbracciano e si allontano in 11 chilometri, separate solo da un cartello stradale e da un numero. “Rinominare Ponte Armellina ‘Urbino 2′ crea già distanza dalla città ducale – aggiunge Laquidara – ho sentito addirittura parlare anche di Urbino 3, luogo defilato, oltre Petriano”.
Il messaggio finale del documentario è chiaro per il regista: “Non esiste nessuna copia della città ma solo Urbino e le sue identità multiple”.
Servizio a cura di Rita Rapisardi e Riccardo Marchetti