Sulla prima pagina di City, una faccina triste con una lacrima salutava, il 24 febbraio, l’uscita di scena del quotidiano dal mondo dei free press. Il giornale che si poteva trovare all’ingresso della metropolitana e in ogni angolo della città. Quel giornale che per undici anni prendevi senza pensarci, quasi fosse diventato un gesto meccanico. Che sfogliavi alla fermata dell’autobus o che leggevi mentre prendevi un caffè al bar, adesso non c’è più. Certo non è il solo, in Italia ci sono anche Leggo, Metro e Dnews. Ma anche per loro le cose non vanno così bene.
Meno 22,4%, con un fatturato pubblicitario che in un anno è passato da quasi 51 milioni di euro a poco più di 40, è quanto risulta dai dati diffusi dall’Osservatorio stampa della Federazione Concessionarie Pubblicità (Fcp). Una vera e propria mazzata per i quotidiani gratuiti, che nel 2011 hanno visto asciugarsi i già magri introiti e ridursi drasticamente redazioni e personale.
Troppe spese e pochi introiti. Nonostante i dati di Audipress indicano indichino City come il sesto giornale più letto in Italia, con un milione e 746 mila lettori, il gruppo Rcs ha deciso di chiudere dopo undici anni di pubblicazioni. Eppure questo giornale (come gli altri free press) veniva prodotto con spese ridotte e con pochi redattori per nove edizioni in altrettante città. Non è bastato tenere basso il costo del lavoro, di fronte al calo generale del settore pubblicitario che ha visto ridursi incassi e spazi pubblicitari acquistati dai clienti (in un anno è sceso del 7,1%).
Una situazione più grave rispetto ai giornali a pagamento, i quali sono riusciti a contenere il crollo del fatturato pubblicitario a meno 5,5%, grazie a forti sconti sui prezzi di listino. Il problema, quando una testata muore, è quello di capire che fine fanno le persone che ci lavorano. Il punto adesso è proprio quello capire quale destino attende i 19 tra redattori, collaboratori e poligrafici rimasti
Solo in tre a contendersi il mercato. Con l’addio di City al mondo dei free press a conquistare questa fetta del mercato rimasta vuota ci sono Leggo (del gruppo Caltagirone), Metro (dell’editore Mario Farina) e Dnews (ceduto il 23 febbraio dallo stesso Mario Farina alla Emotional Advertising, concessionaria di pubblicità dello stesso giornale).
Le aspettative di vita, per questi tre quotidiani, non sono però tra le più rosee. Dnews pubblica due edizioni, a Roma e Milano, con una tiratura complessiva di circa 50 mila copie. Attualmente i giornalisti che vi lavorano, 12 in tutto, hanno contratti di solidarietà con turni di cassa integrazione durante il mese. Una situazione emergenziale che si protrae da quasi tre anni e che ha visto la chiusura, lo scorso anno, delle sedi di Bergamo e Verona e la riduzione della foliazione per far fronte al calo di pubblicità.
Stessa cosa anche per Metro. Quest’ultimo esce in otto edizioni, ma ha giornalisti solo a Roma, Milano e Cagliari, mentre per le altre città si affida a notizie di agenzia scritte da redattori che vivono e lavorano altrove. Come Leggo, primo fra i quotidiani free press con oltre due milioni di lettori (dato Audipress) e con una crescita di oltre il 5% del numero di persone che ogni giorno prendono il giornale.
Un’iniziale euforia, garantita da dati incoraggianti, aveva spinto il gruppo nel novembre scorso a raddoppiare il numero delle pagine, a rinnovare la grafica, le sezioni e i contenuti. Tutto però è durato poco perché ben presto è arrivata la decisione di chiudere otto edizioni su dieci e di diffondere il giornale solo a Roma e a Milano. Altri posti di lavoro in meno.
Un passo indietro verso l’inizio. L’idea di un giornale gratuito, con una grafica accattivante che raccontasse in maniera sintetica i fatti nazionali e che si diffondesse in maniera rapida in ogni città, è arrivata in Italia a partire dal 2000, in concomitanza con il moltiplicarsi delle connessioni alla rete web. Una prosa semplice e breve con un livello di fruibilità immediato, articoli corti, titoli in evidenza e molta informazione locale.
Un’esperienza nuova da sfruttare, a cui nel 2006 aveva creduto anche il Sole 24 ore con il free press 24 minuti (chiuso nel 2009). Mentre nel 1997 i free press erano diffusi in soli quattro paesi e quattro testate in tutto, a distanza di dieci anni in tutto il mondo si contano 264 testate e solo 140 in Europa. Una diffusione da 42 milioni di copie. In Italia tutte insieme superano i 6 milioni di lettori, più di quelli della Gazzetta dello Sport.
Se questo è stato il sogno per quasi undici anni, il risveglio è traumatico. Molti giornalisti sono oggi a spasso, alcuni per il fallimento dell’imprese editoriali, come E-Polis, altri in attesa di capire che fine faranno, come City, mentre per altri tanta cassa integrazione.