Caustico e ficcante nei giudizi e nel racconto, a colloquio con l’allora giornalista praticante Fabio Sanfilippo. L’amicizia con Fellini e Antonioni. I diritti d’autore, la nostalgia del passato e l’antipatia per i giornalisti. Nel giorno in cui il poeta romagnolo ci ha lasciati, ripubblichiamo l’intervista che rilasciò al Ducato più di 20 anni fa.
di Fabio San Filippo
“Non capisco perché debbano essere i giornalisti a guadagnare sulle interviste, quando bisognerebbe pagare l’intervistato”. In altri termini: se volete intervistarmi dovete pagarmi.
Tonino Guerra, sceneggiatore e poeta dialettale tra i più apprezzati in Italia, accetta di parlare ma a una condizione: bandire penna, taccuino e registratore. “Se proprio vuoi – dice – puoi scrivere il tuo articolo, ma devi ricordare a memoria”.
Giungere a Pennabilli – piccolo centro marchigiano al confine con l’Emilia Romagna – non è agevole. E’ qui, in mezzo all’Appennino avvolto dalla nebbia, che Guerra trascorre i suoi momenti di quiete e di riposo, lontano dal caos di Roma.
Siede al centro del piccolo e rustico soggiorno arredato con mobili che lui stesso ha costruito. Fissa, talvolta, la finestra di fronte nel tentativo di forare la coltre grigia che impedisce di godere dello scenario appenninico.
Fuori, l’odore della legna che brucia si confonde con quello dei prosciutti della vicina Carpegna: una violenza che le narici subiscono volentieri.
Sparsi su un tavolinetto tre copie del suo libro ‘Cenere’. Più in la, sopra il rustico armadietto, un fax e il telefono. Ha settant’anni, ma ne dimostra di meno, anche se il bicchiere di vitamina C che la premurosa moglie russa gli porta tradisce l’età non più verde. Il ricordo della grave malattia che lo colpì sei anni fa, è ancora presente. Afferma di averla affrontata con grande coraggio, senza parlarne con nessuno. “Ma ora – dice – ho paura anche di un raffreddore”
La conversazione è conviviale, vuota di formalismo: i giornalisti, l’amicizia con Fellini, Antonioni e Tarkovskji, il rapporto con Tornatore e la Sicilia, l’origine di fruttivendolo, il legame con la Romagna, la vita di sceneggiatore.
“Perché tanto scandalo – dice – se si ha la pretesa di essere pagato per una intervista? Questa, del resto, è la regola nei paesi anglosassoni. Magari, se uno è poco famoso, può anche farsi intervistare gratis; ma una persona famosa ha tanti di quei mezzi per pubblicare le sue cose che non ha proprio bisogno di un giornalista…”.
A suo modo provocatorio, Guerra lancia una sfida all’interlocutore. E si infervora, in un continuo intercalare di “cioè”, se si parla di diritto di autore per gli sceneggiatori: “E’ assurdo – continua – che siano solo i produttori a intascare i proventi di un film a distanza di anni dalla sua uscita. Perché oggi deve essere solo Cristaldi a guadagnare su ‘Amarcord’, quando autori del film siamo stati io e Fellini?”
Poi, con l’amaro in bocca, aggiunge: “Io non vengo mai presentato come Tonino Guerra, sono semplicemente lo sceneggiatore di Fellini e Antonioni”. Anche se dell’amicizia con i registi, ne parla volentieri.
“Una volta – ricorda a proposito di un viaggio in Sicilia con Michelangelo Antonioni – ci trovavamo dalle parti di Messina per filmare. Eravamo in un ristorante, chiedevo cosa fosse la mafia e dicevo che in fin dei conti non esisteva e non era vero niente. All’uscita il cameriere mi diede un biglietto sul quale era scritto: “Di queste cose è meglio che non ne parli”
Parla di Sicilia e parla anche di Giuseppe Tornatore, giovane regista di Bagheria, con il quale ha sceneggiato il film ‘Stanno tutti bene’ e, l’ultimo, ‘La domenica specialmente’. Dice: “Tornatore è bravo, è giovane…Speriamo però che non si monti la testa”.
Originario di Santarcangelo di Romagna, molto legato alla sua terra e alle sue origini, Guerra esprime in versi questo suo legame. “Purtroppo con la poesia non si vive e quindi mi sono dovuto adattare a fare altri mestieri: l’insegnante prima e lo sceneggiatore in seguito”.
E’ affascinato soprattutto dal mondo contadino – da cui trae le sue origini – e dagli anziani. Racconta un aneddoto: “Poco dopo il disastro di Chernobyl ho incontrato un vecchio. Con un panno puliva la frutta raccolta dai suoi alberi, quasi a volerla curare. Quella scena, intrisa di saggezza e di spiritualità, mi ha molto colpito. Gli ho chiesto: “secondo te Dio esiste?”. E quello: “Dire che c’è è una bugia. Dire che non c’è è una bugia più grande”.
Al cinema – qui è approdato più per necessità che per vocazione – non sembra essere particolarmente legato. “Delle mie sceneggiature, il regista può fare quello che vuole. Ognuno ha una propria visione delle cose. Io faccio il mio lavoro, il regista il suo”.
Un po’ affaticato, lascia intendere che la conversazione è ormai agli sgoccioli. C’è giusto il tempo di accennare alle opere che realizza gratuitamente a Pennabilli – come ‘l’orto dei frutti perduti’ dove lo sceneggiatore ha fatto piantare degli alberi da frutta che oggi quasi non esistono più, “affinché i giovani possano gustare i sapori di un tempo: gli stessi che assaporavo io da bambino” – e di ritornare per un attimo sulla vicenda dell’intervista a pagamento.
Eppure, ‘Il Ducato’, è il periodico di una scuola, senza fini di lucro… “Non mi importa – dice -. Se proprio volevate pubblicare un’intervista su di me, potevate prendere qualche mia frase dai giornali e costruirvi il pezzo”. E aggiunge: “Ma cosa credi? Ho faticato tanto per raggiungere questa posizione e, facendo quattro domande, il giornalista crede di poter guadagnare sulle mie dichiarazioni. Io, da giovane, salivo qui a Pennabilli a vender verdura…”
Gentilmente, col suo fare da ammaliatore sapiente, si alza dalla poltrona e indica l’uscita.