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Amianto, quando una parola fa paura

di    -    Pubblicato il 17/04/2012                 
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URBINO – Uomini in tuta bianca, con mascherine guanti e copri scarpe raccolgono polveri leggere come cipria, ma pesanti come piombo se inalate. Quasi impalpabili, queste fibre rendono l’aria pesante e si attaccano alla pelle, agli abiti, agli oggetti. Aggrediscono e se respirate o liberate nell’aria provocano un disastro, per l’ambiente e per la salute.

E’ l’asbesto, più comunemente noto come amianto, un minerale molto diffuso in natura, resistente al calore e ormai identificato con l’eternit, il materiale praticamente ‘eterno’ composto da cemento e, appunto, amianto.

Dai primi anni del ‘900 lo si è utilizzato per costruire di tutto: tubi, acquedotti, coibentazione di navi, tegole, pavimenti, vernici, fioriere, le tute ignifughe dei vigili del fuoco. Ma, soprattutto, di onduline in eternit inconfondibilmente grigie sono stati inondati i tetti delle case, dei capannoni industriali e di quelli agricoli. Le stesse coperture che sono crollate a causa della grande nevicata di febbraio.

Centosessanta sono i crolli ufficiali di tetti in amianto registrati dal Dipartimento di Prevenzione e sicurezza sul lavoro, contando tutti i ventinove comuni compresi nella ex zona 2 dell’Asur di Urbino. Dieci le coperture crollate a Urbino, tra cui un tetto di seicento metri quadrati dell’Ekofarma, una ditta che si occupa di mobili e arredi di farmacie, uno di circa mille metri quadrati del deposito di mobili Rio Rusciadelli e la copertura della palestra di Scienze motorie. Gli altri sette casi sono capannoni agricoli. Nella zona industriale di Fermignano, i casi di tetti in eternit crollati sono cinquantacinque.

Un bel da fare per i vigili del fuoco, per i tecnici del Comune e per il Dipartimento di prevenzione e sicurezza sul lavoro che proprio a Fermignano ha la sua sede principale.“L’Asur è stata, ed è tutt’ora, completamente ingolfata – spiega il dottor Eugenio Carlotti, direttore responsabile del dipartimento – sovraccarichi di lavoro noi e l’Arpam di Pesaro, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale che ha il compito di analizzare i campioni di eternit per capire se c’è effettivamente amianto. Per tutti i centosessanta casi abbiamo effettuato un primo sopralluogo – continua Carlotti – poi abbiamo campionato i manufatti e li abbiamo inviati all’Arpam per le analisi”.

Una volta accertato che si trattava di amianto l’Asur ha chiesto ai sindaci dei comuni di riferimento un’ordinanza d’urgenza per motivi di sanità pubblica, obbligando così i proprietari degli immobili a rimuovere i materiali nocivi, affidandosi poi a una ditta abilitata e specializzata nella rimozione dell’amianto. “In condizioni particolari – dice il responsabile del Dipartimento di sicurezza – c’è bisogno anche di due mesi di tempo, ma in una situazione così d’emergenza abbiamo cercato di accelerare i tempi, chiedendo un massimo di venticinque giorni. Le ditte poi – dice il dottor Carlotti – ci hanno sottoposto i piani di lavoro che abbiamo analizzato e approvato in due giorni”. Tutto questo continuando a fare sopralluoghi, seguendo i lavori di smaltimento e bonifica fino alla fine.

A più di un mese e mezzo dalla neve di febbraio, però, non tutti gli edifici interessati da crolli hanno finito i lavori, proprio perché le procedure sono particolari e ben definite.

Chi si trova davanti all’amianto, deve affrontare un iter speciale per la rimozione, complesso e abbastanza dispendioso. L’amianto è altamente nocivo per la salute, può portare a malattie gravi come l’asbestosi e il mesotelioma maligno. Solo nelle Marche dal 1996 al 2008 sono stati trecentotre i casi di tumori da amianto. Perciò è un materiale che va smaltito come rifiuto speciale, e poi tutta l’area venuta in contatto con la sostanza va bonificata, utilizzando isolanti e aspiratori.

L’uso dell’amianto è disciplinato dalla legge 257 del 1992 che vieta il suo utilizzo e stabilisce regole e procedure per lo smaltimento e la bonifica. Oggi, anche se sono ormai passati vent’anni dall’emanazione della legge, non è necessario eliminare l’eternit se ben conservato, scatta invece l’obbligo nel caso di amianto friabile, il tipo più nocivo, che si sfalda sotto qualsiasi pressione, e nel caso in cui l’eternit è degradato, anche se compatto, con fibre inglobate in matrici di cemento e quindi meno pericoloso.

LEGGI/LA SCHEDA – LA LEGGE, I COSTI E I RISCHI DELL’AMIANTO

I tetti in eternit, come quelli crollati sotto il peso del nevone, sono fatti di amianto compatto e probabilmente senza quei tre metri e mezzo di neve sarebbero rimasti lì sopra ancora a lungo. Invece sono stati dilaniati, squarciati. La neve, che ha seppellito tutti i materiali crollati e l’eternit, ha bloccato però le fibre di amianto, che non hanno potuto disperdersi subito in atmosfera. La polvere ha dovuto aspettare solo un pò di tempo, quando, sciolta la neve, è arrivato il vento.“Nessun rischio per la salute – avverte il dottor Eugenio Carlotti – le fibre erano poche e non c’è un grosso rischio per la salute”.

Aziende come l’Ekofarma e la Rio Rusciadelli, oltre a subire danni alla produzione e ai macchinari per migliaia di euro hanno dovuto sobbarcarsi anche un onere in più: “Stiamo spendendo trenta euro a metro quadro, per smaltire circa seicento metri quadri di tetto in eternit – dicono all’Ekofarma – intanto bonifichiamo, poi vedremo”. Per poter continuare a produrre, nell’azienda di mobili per farmicie, hanno dovuto costruire un tramezzo, una parete divisoria, “altrimenti – dice la segretraria – non avremmo potuto lavorare”.  Sì perché la zona è stata sigillata con il nastro e interdetta a tutti. Solo gli operai della ditta abilitata possono entrare, protetti da tute in Tyvek, mascherine per le vie respiratorie e ogni altro tipo di accessorio anti amianto. In teoria, finché non si eliminano totalmente i pezzi di eternit e non si procede alla bonifica della zona, il lavoro di produzione deve essere interrotto. L’Ekofarma è riuscita a raggirare questo danno ulteriore dividendo la zona interessata dal crollo e continuando a lavorare nel capannone accanto.
Nella regione Marche nel 2007 è stato effettuato un censimento per valutare la presenza di amianto. Nella zona di Urbino sono state inviate dodicimila lettere, di queste solo il ventidue per cento è tornato indietro. Sulla base dei questionari ricevuti, sono stati censiti 841 edifici con eternit, per un totale di diecimila tonnellate di amianto compatto. Tutti questi edifici sono stati classificati, attribuendo una categoria di pericolosità decrescenti da uno a quattro, a seconda del tipo di amianto, dell’uso pubblico o privato dell’edificio e di quanto sia esposto. Nella zona di Urbino i siti in classe uno, la più rischiosa, sono dieci, sessantadue sono in classe due, mentre i restanti 769 sono in classe tre e quattro. Ora che nella zona di Urbino sono crollati tutti questi tetti in eternit, bisognerà rivalutare al ribasso le stime del censimento.

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