URBINO – Da anni costruiscono arredi per case di riposo e uffici, da anni erano a Urbino, nella zona Sasso, dove avevano la linea di montaggio, attrezzature e macchinari, un ufficio amministrativo e uno show room pieno di cataloghi. La Rio Rusciadelli a Urbino aveva tutto questo, ma dopo che il nevone di febbraio ha fatto crollare tutto l’edificio, è stata costretta a spostare tutto a Gallo.“La nostra è una piccola industria – dice Matteo Rusciadelli – forse non ha neanche la dignità di essere chiamata industria, ma la notte fra il 10 e l’11 febbraio abbiamo tremato”.
Dottor Rusciadelli, sapevate che il tetto era in eternit? Non avevate mai pensato di rimuoverlo?
“Personalmente non sapevo che fosse in amianto. Lo si poteva desumere dal fatto che il fabbricato era datato tra gli anni ‘60 e ‘70, periodo in cui veniva utilizzato moltissimo. Il tetto però, prima della neve, era integro, non c’erano motivi di particolare preoccupazione. In realtà non abbiamo pensato al tetto per il semplice fatto che è dovere del proprietario denunciare la presenza dell’amianto e noi non siamo i proprietari dell’immobile”.
Però avete dovuto sobbarcarvi le spese di rimozione, smaltimento e bonifica.
“Dopo il crollo, intuiti i problemi legati allo smaltimento, abbiamo più volte chiesto e sollecitato il proprietario. I termini sono sempre passati inevasi allora a un certo punto ci siamo mossi noi. C’era una pluralità di profili da tutelare: ambientale e di salute pubblica, in primis. Poi, in realtà, speravamo di riuscire a recuperare qualcosa dei mobili e delle attrezzature sotto le macerie. Ma è stato infruttuoso. Appunto, erano macerie”.
Non siete riusciti a salvare nulla, contando anche che la zona va bonificata e che tutto quello che va in contatto con l’amianto, se non si riesce a separarlo, va smaltito.
“Era quasi tutto da buttare. Se qualcosa poteva essere salvato, è stato rovinato dalle intemperie. I mobili e le attrezzature non possono essere rimosse se prima la zona non viene bonificata e tutto questo tempo legnami e ferri sono stati esposti totalmente al sole, al vento, alla pioggia. Perché il tetto non esiste più, è cielo aperto. Almeno ci siamo fatti carico di un’attività importante. La bonifica è ancora in corso, ci sono ancora i sacchi con pezzi di eternit dentro e se tutto va bene finiremo per fine aprile. Se non altro stiamo salvaguardando la salute pubblica e adempiamo a un dovere civico”.
Un’osservanza ai doveri di cittadino che vi è costata molto cara, visto che non siete voi i proprietari dell’edificio.
“Stiamo pagando 30 euro al metro quadro, moltiplicando per circa mille metri quadrati di tetto in eternit, diciamo pure che ci aggiriamo intorno ai trentamila euro. Questo senza contare i danni ai materiali, ai macchinari e alla filiera produttiva. Ora con il proprietario è in atto un contenzioso per recuperare le spese sostenute, ma le stime sono molto basse”.