URBINO – Circa quattrocento imprese in meno solo nel 2012. Sono quelle che nel settore vengono definite le imprese “morte”: il saldo tra le nuove registrazioni e le cessazioni di attività.
L’ambito più colpito è quello edile, con centosessanta imprese in meno. L’aumento dei lavoratori iscritti alle liste di mobilità è stato del trenta per cento, le ore di cassa integrazione quasi del centocinquanta per cento. Gli occupati, nel dettaglio, sono passati da 57.591 a 46.117, quindi sono andati persi 11.474 posti di lavoro.
Fausto Baldarelli, responsabile provinciale della Confedereazione Nazionale dell’Artigianato per le costruzioni, parla di un contesto “completamente paralizzato, che si limita ad andare avanti con i pochi lavori di riparazione. Anche la Provincia – continua – non appalta più se non per la manutenzione di strade e poco altro”. Una situazione molto preoccupante, vista la specificità del settore e il peso che occupa nell’economia provinciale – quasi il sessanta per cento del totale delle attività secondarie – senza contare il fatto che da quello delle costruzioni dipendono molti altri settori, come l’impiantistica, gli arredi e la serramentistica.
Altro ambito fortemente colpito è il manufatturiero, che ha perso centosei imprese, soprattutto nel tessile e nella lavorazione di legno e mobili. A seguire trasporti e autoriparazioni, rispettivamente con quarantatré e dodici attività in meno. Se la cavano meglio la ristorazione e il settore alimentare in genere, gli unici due in controtendenza – se pure minima – con sei attività in più, nate nell’ultimo anno. Certo all’interno di questo saldo positivo resta la chiusura di ottantacinque vecchie attività. “Anni fa chiudevano per andare in pensione – commenta Luciana Nataloni, responsabile Confederazione Nazionale dell’Artigianato per il settore alimentare – adesso sono legate alla crisi. Ci sono continue aperture e chiusure, oltretutto i dati che ci stanno arrivando ultimamente testimoniano un rallentamento anche in questo settore”.
Dati, numeri, bilanci e rielaborazioni che prendono vita per le strade delle città e dei paesi, sotto forma di saracinesche abbassate, riduzioni degli orari di lavoro, dei dipendenti e negozi abbandonati. Ce lo hanno confermano gli artigiani di Urbino. Quelli che sono rimasti. Un imprenditore edile della zona, davanti a un caffè in piazza della Repubblica, ci ha racconato di come sia stato costretto a mettere in cassa integrazione i dipendenti che lavoravano per lui da trent’anni, e di come la sua attività stia lentamente soffocando “non c’è lavoro, le banche non danno più finanziameti – ci dice – non posso fare investimenti o continuare in queste condizioni”.
Un laboratorio orafo del centro ci confessa di riuscire ad andare avanti soprattutto grazie alle riparazioni “sicuramente il fatto di non avere concorrenza mi avvantaggia, prima eravamo sette qui a Urbino, ma io creo e vendo ‘quell’ in più’ che la gente in questo momento non può permettersi.” C’è anche una tappezzeria artigianale che lavora ancora nel centro storico. Ci riesce perché per non perdere i clienti ha abbassato i prezzi: “è inutile piangersi addosso. Se faccio lo stesso lavoro di una grande azienda e, oltretutto, lo faccio pagare di più non vado avanti. Invece ho deciso di guadagnare un po’ di meno, offrendo la stessa qualità di prima, e il lavoro non mi manca”.
“Certo questa crisi è preoccupante – dice Riccardo Barbalich, di Confartigianato Urbino – e le attività che chiudono sono quelle storiche, quelle presenti da tempo e affermate mentre molte di quelle che aprono sono improvvisate, ci provano, ma spesso non ce la fanno e spariscono dopo poco tempo”.