URBINO – Nel reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Urbino oggi c’è sciopero. O meglio, ci sarebbe sciopero. Ma l’ostetrica non può mai mancare. E’ tutto ben organizzato. Preparato con largo anticipo per non creare problemi ai pazienti. “Abbiamo deciso già da una settimana che oggi non ci sarebbero stati interventi. Questo giorno è come se non esistesse, nessuna voce in agenda. Non faremo nulla, emergenze a parte, naturalmente”, dichiara la caposala.
Nessun intervento e nessuna nascita programmata. Ma tutto il personale presente. Quattro medici, un’infermiera, un’ostetrica, un operatore socio sanitario, come sempre. E come sempre troppo pochi. Giovanna Palma, infermiera di turno questa mattina, non ha problemi a dirlo: “Se c’è un’emergenza in sala parto, il personale del Nido deve intervenire e le pazienti restano scoperte”. Neppure l’ostetrica, visibilmente stanca, è entusiasta della situazione di precarietà in cui versa il reparto. “Avrei voluto aderire allo sciopero, ma poi chi ci sarebbe stato qui?”. Senza di lei non c’è il travaglio, è lei a seguire tutta la fase del parto, il prima e il dopo.
Le ragioni dello sciopero
Tra i ‘presenti’, c’è il dottor Leone Condemi, ginecologo che non ha problemi a parlare, anzi. Rimarca le ragioni dello sciopero, quelle contingenti (la mancanza di tutela legale nei confronti dei medici che sono denunciati e i costi proibitivi delle assicurazioni; la messa in sicurezza dei punti nascita su tutto il territorio nazionale) e quelle ‘eterne’, di sempre (tagli, mancanza di personale, mancanza di strutture idonee) e mai risolte.
La questione del ‘contenzioso legale’ medico-paziente è al centro della pratica, spesso incosciente ma ormai sistematica, della medicina difensiva. “Fai qualcosa per difenderti, preventivamente, anche se non è opportuno – dice Condemi, e continua – poniamo che ci sia un travaglio in cui può intravedersi un piccolo problema: o lo porti avanti attraverso la via ‘naturale’ e nel 90% dei casi ti va bene; oppure decidi di non portarlo avanti per gli eventuali rischi giudiziari”. Ed è la tendenza che, specialmente nell’ultimo anno, prevale nell’ospedale di Urbino. Per autotutelarsi, per ‘paura’.
I numeri e il Decreto Balduzzi
A confermare la triste realtà, la dottoressa Anna Caporaletti, ginecologa. “L’anno scorso sono state intentate 38.600 cause in tutta Italia contro ginecologi e il 95% si sono risolte con assoluzione”. E’ un reparto delicato, che lavora spesso sulle emergenze.
Il punto è: chi risarcisce il medico? E per le spese legali e per i danni d’immagine. Questa è la domanda chiave. Che rimanda, criticamente, al decreto Balduzzi. “Prima la responsabilità civile era a carico delle Asl, delle Aziende Sanitarie; era l’ospedale che ti copriva. Dal 1° agosto i medici devono farsi carico loro di tutto e pagarsi assicurazioni altissime che vanno dai 5.000 ai 25.000 euro l’anno, considerando che molti colleghi non guadagnano più di 2.500 euro al mese”, precisa il dottor Signore, raggiunto telefonicamente al San Camillo di Roma.
Aumentano i parti cesarei
Di qui l’aumento di parti cesarei (circa 800 quest’anno a Urbino), che dovrebbero esser fatti con l’unico obiettivo di diminuire la mortalità dei piccoli. Le Marche sono al 37, 38% annuo, il limite nazionale è del 20%. “Ci sono componenti che portano il medico a non essere libero”, ci dice la dottoressa Caporaletti con rammarico. Ma la norma dovrebbe essere il parto naturale. “E noi ci battiamo perché la norma diventi la regola: puntiamo al 25% per il 2013”.
I rischi del cesareo
Anche perché il cesareo è sempre un intervento chirurgico e ha i suoi rischi. “Non è che si fa un’appendice quando non c’è appendicite”, dice Flavia Allegretti, l’ostetrica che il febbraio scorso fece nascere la piccola Nica, nella sua casa di San Marino di Urbino, isolata dal nevone. “Il parto naturale è sempre la via preferenziale, prepara il bimbo alla nascita, ne attiva i parametri vitali gradualmente” e senza ‘violenze’, aggiunge.
La cosa certa è che i medici si difendono, ma a rimetterci sono sempre i pazienti. “Il cesareo è pericoloso anche per il bambino”, conclude la dottoressa Caporaletti.