Quale sia la homepage de Il Post, come sia strutturata, in che sezioni sia divisa forse ai più può sfuggire, perché in genere chi fruisce dei contenuti di questa testata giornalistica nativa digitale, si ritrova a vederne scorrere gli articoli nella propria pagina Facebook o Twitter, magari subito dopo aver postato uno stato sul cielo plumbeo in piena primavera o dopo aver controllato le foto dell’amica appena tornata dalla vacanza.
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Il Post, giornale online aggregatore di notizie, nato appena qualche anno fa e diretto da Luca Sofri, è solo un grande contenitore dove si incasellano notizie che spiccano per il loro valore intrinseco a dispetto di categorie e costrizioni derivanti da una foliazione progressiva. “Noi non ci teniamo molto alla definizione di categorie – spiega il direttore della testata – investiamo molto di più sui singoli contenuti e sul loro valore di per sé indipendentemente da dove uno li voglia categorizzare. Su internet i singoli contenuti hanno capacità di diffusione e di proposizione molto autonoma: la maggior parte del nostro traffico viene ormai dai social network e dai motori di ricerca. Le persone raggiungono quei singoli articoli per il valore che hanno e per i temi di cui parlano; non lo raggiungono perché scelgono una sezione precisa del giornale nella quale cercare determinati argomenti”.
In un contesto simile di fluttuazione dei contenuti, come definire il concetto di giornalismo culturale? Sarà vera la storia da molti dibattuta che la Rete è la tomba del giornalismo culturale? Secondo Sofri, il concetto di “cultura” come categoria e recinto nel quale sistemare una certa tipologia di articoli è ormai superato in Internet. “La cosa che chiamiamo tradizionalmente pagina culturale – spiega il direttore de Il Post – è banalmente un raccoglitore di una serie di articoli ai quali associamo quella categoria, ma dietro non ci sono grandi riflessioni filosofiche o linguistiche. E’ un’etichetta archivistica non una linea editoriale, usata per classificare e ordinare i nostri contenuti da una parte e dall’altra ma non è particolarmente rilevante”.
La scelta degli articoli da convogliare nella pagina che riporta l’etichetta cultura si basa solo sui valori di qualità espositiva e contenutistica oltre che sull’interesse pubblico. I criteri sono quelli della notiziabilità giornalistica: nella pagina culturale del giornale online si possono trovare recensioni di film o libri, articoli sulla questione del diritto di autore di Harper Lee, amica di Truman Capote e autrice del noto Il buio oltre la siepe, ma anche anniversari di nascita di personaggi celebri. “Ci interessa un pezzo piuttosto che un altro, perché pensiamo possa meglio aiutare a comprendere il mondo e il cambiamento – continua Sofri – ma di fatto poco ci importa che stia nella pagina Cultura o nella pagina Mondo. Le categorizzazioni funzionano poco per l’online perché se domani cancellassimo le etichette e disassociassimo tutti i nostri pezzi, cambierebbe pochissimo. I pezzi de Il Post vivono da sé, per il loro valore e per quello che raccontano”.
Il linguaggio del web, anche in termini culturali, si presenta quindi più accessibile, meno costretto in recinti ideologici, più alla portata di tutti. E se da una parte le macrostrutture restano come grandi raccoglitori che consentono di mettere ordine nel flusso di informazioni, dall’altra anche la sintassi del giornalismo cambia e si sceglie un tipo di comunicazione che procede per immagini. Una delle prime cose che colpisce nello stile del giornale di Sofri è la grande varietà e il continuo aggiornamento di un racconto fatto da fotografie. “Abbiamo intrapreso un rapporto tradizionale con le agenzie fotografiche alle quali chiedevamo immagini per illustrare i nostri pezzi – spiega il direttore – ma la frequenza di questo rapporto ci ha fatto scoprire e trovare immagini di grandissimo valore e di grandissimo interesse di per sé. Abbiamo deciso di sfruttarle di più adattandole a dei modelli americani che qui non segue praticamente nessuno, ovvero di riproduzione e visualizzazione delle foto in formati molto grandi, valorizzati già dai computer ma molto di più dai tablet. Le sfruttiamo, quindi, per quello che ci sembra essere il loro valore e la loro qualità in termini fotografici e contenutistici ma anche in termine banalmente estetico”.
Un discorso che rimane in superficie e colpisce l’occhio senza scavare nell’anima e nella mente al contrario di quanto si ripropongono le pagine culturali dei giornali cartacei e i fortunati inserti del nostro Paese, tra i quali La Lettura del Corriere e la Domenica de Il Sole 24 Ore? “Noi – spiega Luca Sofri – tendiamo a privilegiare il racconto delle cose, delle informazioni, dei dati, vogliamo fornire strumenti per capire i fatti che succedono piuttosto che alimentare la discussione”. Un tipo di giornalismo che non potrebbe essere tacciato di autoreferenzialità, nel quale si innescano dibattiti vuoti secondo quelle che Dorfles nell’ambito del Festival del giornalismo culturale ha annoverato tra le grandi falle del nostro giornalismo culturale. Ma per il dibattito c’è spazio anche nelle testate online, tra i commenti o nelle pagine dei blogger che affollano le colonne laterali della homepage. “I blog esistono perché ci sia uno spazio di opinioni ed elaborazioni . Io non lo chiamerei – spiega Sofri – dibattito critico ma è comunque qualcosa che ci interessa ugualmente perché stimolante. Avviene in maniera molto autonoma per i singoli blogger, non c’è una progettazione complessiva”.
Se da una parte il giornalismo culturale su carta stampata, pur in una fase che è stata definita una primavera soprattutto per gli inserti e i supplementi, guarda alla Rete per sopravvivere e alimentare dibattito, riflessioni e raggiungere un numero consistente di lettori, dall’altra la Rete se ne frega. Nella Rete tutto sopravvive perché cammina sui propri piedi, scevro da categorizzazioni, mosso solo dal valore inestimabile di cui è portatore. E allora arrivederci cultura. Qualunque cosa tu sia.